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Le certezze degli uffici, le incertezze del contribuente

Avv. Achille Benigni

Giurisprudenza Locale

Commissione Tributaria Provinciale di Salerno - Sez. XIV, 10.3.2021 n. 872.

Nel caso di mancata costituzione della parte resistente, incombe al ricorrente l'onere della prova di avere notificato validamente il ricorso introduttivo. Tale prova non può ritenersi assolta con la semplice produzione in giudizio delle copie informatiche delle ricevute pec di accettazione e consegna, benché sottoscritte digitalmente, qualora non siano corredate da un'esplicita attestazione di conformità, con conseguente inammissibilità del ricorso.

IL CASO.

Il caso sottoposto alla cognizione della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno trae origine dall'impugnazione di un avviso di accertamento IMU/TASI emesso da un Comune nei confronti di un contribuente privato, assistito ex art.11 D. Lgs. 546/92 dal proprio difensore. Quest'ultimo aveva notificato il ricorso al Comune a mezzo pec (in conformità a quanto previsto dall'art.16-bis D. Lgs. n.546/92), depositando, all'atto della costituzione in giudizio le copie informatiche delle ricevute pec di accettazione e consegna, ambedue sottoscritte digitalmente dal difensore del contribuente. Il Comune non si era costituito in giudizio. La Commissione ha sancito l'inammissibilità del ricorso, sul presupposto che la notifica effettuata a mezzo pec nei confronti del comune non potesse ritenersi validamente perfezionata e che, in particolare, le copie informatiche delle ricevute pec di accettazione e consegna, ancorché sottoscritte digitalmente dal difensore e da quest'ultimo depositate all'atto della iscrizione a ruolo, non fossero idonee a certificare la regolarità della notifica.

LA QUESTIONE.

Nel caso di mancata costituzione della parte resistente, incombe al ricorrente l'onere della prova di avere notificato validamente il ricorso introduttivo. Tale prova non può ritenersi assolta con la produzione in giudizio delle copie informatiche delle ricevute pec di accettazione e consegna qualora non siano corredate da un'esplicita attestazione di conformità.

Nel caso di mancata costituzione della parte resistente, incombe al ricorrente l'onere della prova di avere notificato validamente il ricorso introduttivo. Tale prova non può ritenersi assolta con la produzione in giudizio delle copie informatiche delle ricevute pec di accettazione e consegna qualora non siano corredate da un'esplicita attestazione di conformità.

La controversia in esame pone all'attenzione dell'interprete due questioni processuali tra loro collegate: da un lato, a quali condizioni possa ritenersi validamente costituito il rapporto processuale in ipotesi di notificazione del ricorso a mezzo pec; dall'altro, e in tale contesto, quale valore probatorio debba ascriversi alle ricevute pec di accettazione e consegna sottoscritte digitalmente e depositate telematicamente dal difensore senza una specifica attestazione di conformità. Nel caso in esame non era in discussione la tempestività della notifica (che risultava effettuata nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell'atto impugnato), ma solo la sua validità. La Commissione ha infatti argomentato che, stante la mancata costituzione in giudizio del Comune, le due ricevute di accettazione e consegna prodotte dal ricorrente mediante deposito telematico a mezzo del SIGIT, non fossero idonee a provare la valida costituzione del rapporto processuale, trattandosi di «mere copie informatiche di documenti informatici, rilevanti ai sensi dell'art.23-bis, ovvero di riproduzioni informatiche di documenti analogici (…) rilevanti ai sensi dell'art.22 CAD». In altre parole, sulla scorta delle prescrizioni normative del Codice dell'Amministrazione Digitale -secondo cui le copie dei documenti hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da soggetti a tanto autorizzati, fra cui il difensore abilitato nel processo tributario- la Commissione ha concluso che, nel caso di specie, le ricevute pec depositate telematicamente dal ricorrente fossero carenti di valore probatorio, non essendo corredate della necessaria attestazione di conformità del difensore e non potendosi attribuire valore di "non contestazione" al contegno processuale del comune resistente, siccome (rimasto) contumace. La soluzione accolta dal collegio salernitano lascia in verità alquanto perplessi, per una serie di ragioni che nel prosieguo di questa breve disamina avremo cura di illustrare. Nel contempo, la vicenda analizzata si presta a fare chiarezza su alcune tematiche di carattere generale, concernenti il Processo Tributario Telematico e, segnatamente, il regime delle notifiche a mezzo pec che, a distanza di diversi mesi dall'entrata in vigore, continua, a quanto pare, ad essere foriero di dubbi e criticità interpretative.

LE SOLUZIONI GIURIDICHE.

In primo luogo, appare utile ricordare il quadro normativo di riferimento, che è dato, ai fini che qui interessano, dalle seguenti disposizioni contenute nelle due principali fonti normative e cioè il D. Lgs. n. 546/92 e il D.M. n.163/2013 (contenente il regolamento sulla disciplina dell'uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario): Per quanto concerne il decreto sul processo tributario, occorre in particolare far riferimento:

  • all'art.16-bis (come novellato dall'art.16 comma 1 lett. a) n.4 D.L. 119/2018), disciplinante le comunicazioni, notificazioni e depositi telematici, il cui terzo comma stabilisce che «le parti...notificano e depositano gli atti processuali, i documenti ed i provvedimenti giurisdizionali esclusivamente con modalità telematiche, secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 23 dicembre 2013 n.163 e nei successivi decreti di attuazione»;
  • all'art.22, dedicato alla costituzione in giudizio del ricorrente, a mente del quale «Il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d'inammissibilità deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmette a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l'originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale". Il comma successivo stabilisce che «L'inammissibilità del ricorso è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce a norma dell'articolo seguente». Nel caso del D.M. n.163/2013, vengono in rilievo le seguenti disposizioni normative:
  • l'art.9, il quale stabilisce che «Il ricorso e gli altri atti del processo tributario, nonché quelli relativi al procedimento attivato con l'istanza di reclamo e mediazione, sono notificati utilizzando la PEC secondo quanto stabilito dall'articolo 5», aggiungendo al secondo comma che «Il deposito presso la segreteria della Commissione tributaria del ricorso e degli altri atti di cui al comma 1, unitamente alle relative ricevute della PEC, avviene esclusivamente mediante il S.I.Gi.T.».
  • L'art.5 comma 2, in base al quale «Le comunicazioni e le notificazioni telematiche di cui al comma 1 si intendono perfezionate al momento in cui viene generata da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario la ricevuta di avvenuta consegna e produce gli effetti di cui agli articoli 45 e 48 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».
  • l'art.10, in base al quale «La costituzione in giudizio del ricorrente, nel caso di notifica del ricorso ai sensi dell'articolo 9, avviene con il deposito mediante il S.I.Gi.T. del ricorso, della nota d'iscrizione a ruolo e degli atti e documenti ad esso allegati, attestato dalla ricevuta di accettazione rilasciata dal S.I.Gi.T. recante la data di trasmissione». Per completezza vanno segnalati anche:
  • l'art.25-bis D. Lgs. n.546/92, il quale attribuisce al difensore -tra l'altro- il potere di certificazione di conformità delle copie informatiche (anche per immagine) degli atti processuali di parte (oltre che dei documenti formati su supporto analogico) e detenuti in originale o in copia conforme;
  • l'art. 20 D. Lgs. n.82/2005 (Codice dell'Amministrazione Digitale), rubricato "validità ed efficacia probatoria dei documenti informatici", il cui comma 1-bis stabilisce che «Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida».
  • l'art. 23-bis D. Lgs. n.82/2005, il cui secondo comma stabilisce che «Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti Linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto, l'obbligo di conservazione dell'originale informatico». E infine doveroso precisare che, in linea di massima, non trovano applicazione nella materia processual-tributaria le disposizioni della legge n.53/1994, le quali disciplinano esclusivamente le notificazioni, da parte degli avvocati, degli atti del processo civile (ai sensi dell'art.1 di tale legge, infatti, l'ambito di applicazione della normativa in questione è circoscritto alle notifiche degli in atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, cfr. Cass. 8560/2019; Cass. 15109/2018). In realtà, a voler essere precisi, l’unico richiamo alle disposizioni della legge n.53/1994 è contenuto nel terzo comma del predetto art.16 D.L. 119/2018 a mente del quale, in tutti i casi nei quali debba essere fornita la prova della notificazione o della comunicazione eseguite a mezzo di posta elettronica certificata e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, il difensore provvede “ai sensi dell'articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge 21 gennaio 1994, n.53”. In particolare, il comma 1-bis a sua volta stabilisce che «qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato a norma dell'articolo 3-bis, l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82». Si tratta, pertanto, di una disposizione a carattere eccezionale, la cui operatività dovrebbe ritenersi limitata ai soli casi nei quali non risulti possibile procedere al deposito dell’atto notificato con modalità telematiche, come accade ad esempio nelle ipotesi (residuali) di atti ancora notificati con modalità cartacee, ovvero di impossibilità di accesso al SIGIT dovuta ad altre ragioni (ad es. per un malfunzionamento del sistema; contra U. SANTI, Sulla prova della notifica della pec nel PTT: una ricostruzione sistematica in https://www.avvocatitributaristiveneto.it, il quale ritiene che l’impossibilità di fornire la prova della notifica con modalità telematiche sia intrinseca al SIGIT, a causa dell’impossibilità di utilizzo dei file “.eml”; v. infra). In ultimo, sempre per completezza, giova richiamare la circolare n.1/DF del MEF (esplicativa delle disposizioni del D.L. n.119/2018), il cui paragrafo 4 è dedicato alla notifica degli atti digitali. In particolare, con riferimento al profilo della prova delle notifiche (§ 4.1), la circolare chiarisce che quest'ultima consiste nel depositare tramite il PTT i seguenti file originati dal sistema informatico del gestore della PEC:
  • la ricevuta di accettazione (RdAC) sottoscritta con la firma del gestore del mittente;
  • la ricevuta di avvenuta consegna (RAC) sottoscritta con la firma del gestore del destinatario. Le suddette ricevute - da sottoscrivere digitalmente al pari di ogni altro atto o documento da depositare telematicamente - possono essere salvate con le seguenti modalità: a) senza modificare l’estensione del file “.eml”, in quanto formato nativo digitale contenente i file digitali degli atti notificati; b) effettuando il salvataggio con il formato PDF/A 1a-1b e predisponendo, sullo stesso documento informatico o su atto separato, una attestazione di conformità ai sensi dell’articolo 23-bis, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (CAD) – opzione riservata ai soli pubblici ufficiali- con l’obbligo di conservazione dell'originale informatico, ove previsto; c) effettuando esclusivamente il salvataggio con il formato PDF/A 1a-1b, tenuto conto che anche senza una espressa dichiarazione di conformità, ai sensi dello stesso articolo 23-bis, comma 2, del CAD, tale copia informatica ha la stessa efficacia probatoria dell'originale se la sua conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto, l'obbligo di conservazione dell'originale informatico.

Così ricostruita la cornice normativa è ora possibile analizzare la questione concreta, alla luce degli orientamenti interpretativi formatisi in giurisprudenza ed in dottrina. Come è stato osservato in premessa - e come si evince dal tenore della sentenza - nel caso in esame il difensore del ricorrente aveva correttamente optato per l'ipotesi sub c), ossia il salvataggio in formato PDF/A dei file informatici contenenti le ricevute di accettazione e consegna del messaggio pec di notifica del ricorso (RAC/RdAC), limitandosi a sottoscriverli digitalmente, senza tuttavia apporre alcuna specifica attestazione di conformità (che, alla stregua delle richiamate previsioni normative avrebbe dovuto essere resa su un atto separato, anch’esso firmato digitalmente). A tal riguardo, giova precisare che il ricorso alla terza opzione, in luogo della prima (deposito del file “.eml”) era (ed è) perfettamente legittimo, essendo giustificato dal fatto che, ad onta di quanto previsto dalla circolare n.1/DF sopra richiamata, il SIGIT non contempla espressamente la possibilità sub a), prevedendo invece quale formato standard degli atti processuali e dei documenti informatici allegati i soli formati PDF/A 1a-1b, o in alternativa il formato TIFF (cfr. art.10 D.M. n.163/2013 e artt.6 e 10 del decreto del Direttore Generale delle Finanze del 4.8.2015, contenente le specifiche tecniche, emanato in attuazione del predetto D.M.). Ne deriva che i file in formato “.eml” possono essere depositati, ma con una segnalazione di anomalia del sistema, che ne impedisce l’apertura (trattasi cioè di "errore F2 non bloccante"). E' stato correttamente osservato che il paradosso di questa "aporia sistematica" risiede nella circostanza che il formato nativo “.eml”, il quale, oltre a recare il codice identificativo della notifica, contiene una serie di altre informazioni che permettono di ricostruire in maniera dettagliata la “storia” del messaggio di posta elettronica rappresentando in pratica elementi di garanzia di autenticità di quest’ultimo, non è il formato elettivo del PTT, che invece predilige formati diversi (PDF o in alternativa TIFF) i quali nel contesto specifico potrebbero non fornire le medesime garanzie informative (in tal senso si esprime M. LIGRANI, la prova della notifica del ricorso telematico: il formato del file e l'ipotesi cartacea, in www.IlTributario.it; critico verso questa scelta tecnica anche U. SANTI, il quale osserva che il formato “.eml” è stato “ammesso” dal portale del Sigit e dalla prassi operativa, ma non è stato formalmente recepito nella normativa sul processo tributario telematico; cfr. Sulla prova della notifica della pec nel PTT, cit., p.6). Tale scelta tecnica è stata dettata da ragioni di sicurezza, in quanto il formato PDF/A (diversamente dal formato .eml) non contiene macro-istruzioni o riferimenti ad elementi o informazioni come i font esterni al file stesso, la cui presenza potrebbe comprometterne la sicurezza (cfr. A. PARENTE, Sono ammissibili (e apribili) i file depositati nel fascicolo in formato .eml? in www.IlTributario.it). In estrema sintesi: è stata privilegiata la sicurezza del contenitore a discapito della qualità delle informazioni relative al contenuto: una scelta sicuramente discutibile, ma della quale occorre prendere atto. Assodato, dunque, che il deposito telematico dei file RdAC e RAC in formato PDF/A è perfettamente legittimo, rimane da affrontare il problema della valenza probatoria di tale deposito, qualora manchi una specifica attestazione di conformità da parte del difensore. La sentenza annotata si esprime negativamente al riguardo, muovendo dalla considerazione che, in base alla normativa CAD, i documenti in questione non possono essere considerati alla stregua di originali informatici (art.20 CAD) o di duplicati informatici (art.23-bis), avendo un’unica sottoscrizione digitale e cioè quella del difensore, e non recando la firma del gestore di posta elettronica certificata, ossia dell’unico soggetto abilitato ad asseverare l’autenticità del messaggio. Secondo queste norme, dunque, si tratterebbe di mere copie informatiche che, ai sensi degli artt.22 comma 2 e 23-bis comma 2, possono produrre gli stessi effetti degli originali soltanto se la loro conformità è attestata da soggetti autorizzati (tra i quali figura il difensore costituito nel processo tributario). Sennonché, nel caso di specie tale attestazione mancava e -secondo i giudici salernitani- non sarebbe stata surrogabile né con l’attestazione di conformità contenuta nel corpo del ricorso, siccome non estensibile agli allegati, né con la mancata contestazione da parte dell’ente impositore, essendo quest’ultimo rimasto contumace. Tale pronuncia, per vero, non è isolata nel panorama della giurisprudenza di merito. In altri casi i giudici hanno motivato la declaratoria di inammissibilità del ricorso telematico sulla base del rilievo che la prova della notifica dell’atto introduttivo era stata fornita con il deposito telematico «di una semplice copia cartacea scansionata delle ricevute Pec di accettazione e avvenuta consegna, in assenza di valide ragioni giustificative della deroga all'onere di invio telematico della prova telematica della notifica via PEC ai sensi dell'art. 19 bis del Provv. Resp. DGSIA 16 aprile 2014» (CTP Napoli, 26.5.2020 n.3606), ovvero con il deposito di «copie per immagine delle copie su supporto cartaceo di una ricevuta di accettazione e di una ricevuta di consegna, senza allegare l'impossibilità di depositare telematicamente i relativi originali o duplicati informatici e nemmeno attestare la conformità delle copie depositate ai relativi originali» (CTP Napoli, 13.2.2020, n.1941; conf. CTP Napoli, 7.11.2019, n. 11657; in senso contrario cfr. CTP Reggio Emilia, 29.7.2020 n.164 ed anche CTP Napoli, 13.7.2020 n.5408, la quale si spinge ad affermare che l’art.16-bis del D. Lgs. n.546/92, sebbene imponga l’utilizzo di modalità telematiche per la notifica ed il deposito degli atti, non prevede espressamente la sanzione dell’inammissibilità del ricorso notificato in forma cartacea). Le suddette pronunzie non sono del tutto sovrapponibili a quella in esame, in quanto si riferiscono per lo più a situazioni nelle quali il ricorrente, invece di effettuare la conversione in formato PDF/A del file nativo digitale, aveva depositato telematicamente delle semplici copie per immagine delle ricevute pec di accettazione e consegna (dopo averle stampate e riprodotte tramite scansione digitale), anche se tale aspetto non è dirimente ai fini del ragionamento che più avanti faremo in punto di valenza probatoria dei documenti informatici nel processo tributario. Inoltre, nel caso di CTP Napoli n. 3606/2020, la pronunzia di inammissibilità del ricorso era stata erroneamente agganciata alla violazione delle disposizioni della legge n.53/94 (ed in particolare degli artt. 9 e 11), tendenzialmente inapplicabili nel contesto del processo tributario telematico (come evidenziato in dottrina da E. MANONI, L’omessa produzione dell’originale della ricevuta di avvenuta consegna della notifica tramite Pec non rende inammissibile il ricorso, in Riv. giur. trib., n.11/2020, p.933).

OSSERVAZIONI.

La sentenza annotata, pur essendo in linea di massima condivisibile nella premessa, dedicata alla ricostruzione della disciplina dei documenti informatici e delle modalità di formazione degli stessi, non lo è nelle conclusioni, allorché perviene ad un’affermazione perentoria di inammissibilità del ricorso, riconducendola alla mancata asseverazione di conformità dei file RaDC e RAC da parte del difensore costituito. Vi erano infatti svariati argomenti di segno contrario che il collegio giudicante avrebbe potuto valorizzare per approdare ad una pronuncia di segno opposto. In primo luogo, va premesso che la sanzione processuale dell’inammissibilità può essere comminata solo nei casi tassativamente previsti dalla legge, in quanto le relative norme sono insuscettibili di interpretazione estensiva o analogica (cfr. tra le tante Cass. 31.10.2005 n.21170; Cass. n.18088/2004; Cass. 5356/2006; Cass. 5257/2004). Ebbene, nessuna delle disposizioni sopra richiamate contiene una previsione di questo tenore con riferimento alla fattispecie in esame. Invero, l’art.22 del D. Lgs. n.546/92, nel disciplinare la costituzione in giudizio del ricorrente, al primo comma esige “a pena di inammissibilità” il deposito nei trenta giorni dalla notifica «dell’originale del ricorso notificato a norma degli artt.137 ss. c.p.c. ovvero della copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale», mentre il terzo comma, nell’imporre al ricorrente l’onere di attestare la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito a mezzo posta, stabilisce che se l’atto depositato non è conforme a quello consegnato o spedito alla controparte «il ricorso è inammissibile e si applica il comma precedente». Non essendo stata novellata specificamente, la disposizione in parola, nella sua formulazione letterale, richiama le modalità tradizionali di notifica del ricorso (anteriori cioè alla riforma del 2018, che ha portato all’entrata in vigore del PTT), le quali sono rimaste operative in via residuale e cioè per i soli ricorsi ancora suscettibili di essere notificati e depositati in forma cartacea. Ne consegue che la disciplina dei depositi oggi deve essere integrata con la disposizione dell’art.16-bis e con le altre norme sopra richiamate. Ad ogni modo, anche considerando l’habitat del processo telematico, il discorso non cambia. E cioè, anche conformando le previsioni dell’art.22 al nuovo contesto dei depositi telematici, non sarebbe legittimo sostenere che il ricorso sia inammissibile, laddove la prova della notificazione venga assolta dal ricorrente con la produzione di file ritenuti “non idonei” a tal fine, siccome non conformi a determinate specifiche di natura tecnica (a loro volta enucleabili da distinte fonti normative estranee al decreto sul processo tributario). Sotto questo profilo basterebbe osservare che ai fini dell’ammissibilità del ricorso, in base al primo comma dell’art.22, nel caso di notifica a mezzo posta raccomandata, non è richiesto il deposito dell’originale della ricevuta di spedizione, essendo sufficiente la semplice copia e tanto a prescindere dalla costituzione in giudizio o meno della parte resistente. L’unica attestazione di conformità indispensabile ai fini processuali riguarda infatti il contenuto del ricorso e non gli allegati, comprese le ricevute di spedizione e consegna (con l’ulteriore precisazione che l’assenza di attestazione relativa al ricorso tributario potrebbe essere causa di inammissibilità nel solo caso di mancata costituzione del resistente, cfr. ex multis Cass. 30.6.2016 n.13398; contra e cioè nel senso che il principio in esame sarebbe inapplicabile persino nell'ipotesi di mancata costituzione del resistente v. Cass. 6780/2009).
In secondo luogo, sempre in relazione a questo profilo, è utile rammentare il c.d. “principio di non discriminazione dei documenti elettronici rispetto ai documenti cartacei” sancito dal regolamento eIDAS (Regolamento (UE) n.910/2014 del 23 luglio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno), il quale stabilisce una sostanziale equivalenza dei documenti elettronici rispetto a quelli cartacei. La sentenza in commento sembra porsi in contrasto con tale regola, laddove introduce per le ricevute digitali requisiti ben più rigidi rispetto a quelli dettati per le ricevute cartacee, per le quali non era prevista né la produzione in originale, né un’attestazione di conformità (sulla necessità di rispettare il principio di non discriminazione in siffatte ipotesi, v. U. SANTI, Sulla prova della notifica cit., p.14). In questa prospettiva anche la pratica dell'utilizzo di file non nativi digitali (quali ad esempio le scansioni o copie per immagine delle ricevute pec) potrebbe essere considerata alla stregua di una mera irregolarità, pacificamente sanabile ove l'atto abbia raggiunto lo scopo (cfr. E. MANONI, Appellato: costituzione in giudizio con file non nativo digitale in www.IlTributario.it; Trib. Milano, 3.2.2016 n.1432). Un terzo profilo, che sembra non essere stato adeguatamente esplorato nella decisione in commento, è quello concernente la valenza probatoria delle copie dei documenti informatici i quali, in base alle norme vigenti, devono presumersi conformi agli originali. In proposito, soccorre la previsione dell’art. 23-bis, comma 2 CAD, a mente del quale “le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti regole tecniche di cui all'articolo 71, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto, l'obbligo di conservazione dell'originale informatico”. Si tratta di un principio enucleabile dalle regole generali sancite dagli artt.2702, 2712 e 2719 c.c. e che -contrariamente a quanto affermato nella sentenza annotata– non dovrebbe trovare deroga neppure nell’ipotesi di contumacia del convenuto. In proposito, giova richiamare l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, formatosi proprio in tema di prova delle notificazioni: «La produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia dell'atto processuale spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell'art.149 c.p.c., richiesta dalla legge in funzione della prova dell'avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, può avvenire anche mediante l'allegazione di fotocopie non autenticate, ove manchi contestazione in proposito, poiché la regola posta dall'art. 2719 c.c., secondo cui le copie fotografiche o fotostatiche hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, non solo se la loro conformità all'originale è attestata dal pubblico ufficiale competente, ma anche qualora detta conformità non sia disconosciuta dalla controparte, con divieto per il giudice di sostituirsi nell'attività di disconoscimento alla parte interessata, pure se contumace, trova applicazione generalizzata per tutti i documenti» Cass. 24.2.2017 n.4801 (conf. Cass. 27.7.2012 n.13439; Cass. 8.9.2017 n.21003; Cass. 22.6.2006 n.14438; CTR Lazio, Sez. IX, 7.2.2019).

Se dunque è previsto che in tema di produzione di copie fotostatiche, il principio di cui agli articoli 2712 e 2719 c.c., secondo il quale esse hanno la medesima efficacia probatoria degli originali se non sono espressamente disconosciute dalla parte contro la quale sono prodotte, è destinato ad operare nel contesto del processo civile anche nel caso di contumacia di quest'ultima, non si vede per quale motivo lo stesso principio non possa valere nel processo tributario, con riferimento alle notifiche telematiche (soprattutto alla luce della modifica dell’art.2712 c.c. operata dal D. Lgs. n.82/2005). Si potrebbe obiettare che, in caso di invalidità della notifica del ricorso introduttivo, il resistente, non avendo contezza della pendenza del processo, non potrebbe costituirsi in giudizio per formulare la relativa eccezione, con conseguente potenziale lesione del proprio diritto di difesa (art.24 Cost.). In realtà, anche in tale ipotesi, il resistente non resterebbe sguarnito di tutela giurisdizionale, potendo comunque esercitare il diritto all’impugnazione di un’eventuale sentenza sfavorevole senza i limiti di tempo di cui all’art.327 comma 1 c.p.c., alla stregua di quanto previsto dal terzo comma dell’art.38 D. Lgs. n.546/92. In disparte ciò, il richiamo contenuto nella sentenza annotata ai principi sanciti da Cass. SS.UU. n.22438/2018 non coglie nel segno anche per altre più pregnanti ragioni. In primo luogo, perché nel caso oggetto di tale decisione veniva in rilievo una notifica in materia civile, dunque pacificamente soggetta alla disciplina della legge n.53/1994. Inoltre, si discuteva della possibile improcedibilità di un ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza l'attestazione di conformità del difensore (ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, L. n. 53/94) o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, ossia, in altre parole, dell’ambito di operatività di una sanzione processuale riconducibile ad una norma specifica (art.369 c.p.c.). D'altro canto, se si analizza con attenzione il contenuto di tale arresto, è possibile rinvenire molteplici spunti a favore della ricostruzione qui prospettata. Nella motivazione della sentenza n.22438/18, infatti, la S. Corte sostiene a più riprese la necessità di interpretare le norme processuali in modo da «consentire la più ampia espansione, nel perimetro di tenuta del sistema processuale, del diritto fondamentale di azione (...) e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), che guarda come obiettivo al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio “mezzo”, il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione europea, art. 6 CEDU)». Siamo in presenza di concetti che possono ritenersi oramai sedimentati nella giurisprudenza di legittimità, essendo stati ripresi anche in altri arresti, sia precedenti che successivi, nei quali la S. Corte ha sottolineato l’esigenza di valorizzare il principio di strumentalità o congruità delle forme rispetto allo scopo e cioè il principio in base al quale «la forma degli atti del processo deve costituire uno strumento idoneo per il raggiungimento di un determinato risultato, il quale va individuato nell’attuazione della situazione giuridica soggettiva sostanziale, alla stregua dei principi regolatori del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e, in particolare, del canone di effettività della tutela giurisdizionale, in forza del quale deve essere esclusa la legittimità di soluzioni interpretative che attribuiscano rilevanza a formalismi non giustificati da concrete esigenze difensive» (Cass. 1.12.2020 n.27388). Con quest’ultima sentenza, riguardante proprio il tema della possibile difformità dell’atto depositato in giudizio rispetto a quello notificato, la Cassazione ha ribadito che: «le sanzioni che come l’inammissibilità non sono suscettibili di sanatoria non possono che essere interpretate in senso restrittivo e, cioè, circoscrivendone l’ambito di applicazione ai soli casi in cui il rigore che contraddistingue tale forma di invalidità risulti veramente giustificato» (Cass. 27388/2020, con richiami in motivazione a Cass. 12134/2019; Cass. 21170/2005; Cass. 16758/2016; Cass. 26560/2014, Cass. 10282/2013»). Proprio nel solco di tale indirizzo ermeneutico evolutivo le Sezioni Unite hanno aperto una breccia alla possibilità di sanatoria del vizio costituito dalla mancata attestazione di conformità della copia del ricorso depositato rispetto all’originale notificato a mezzo pec, affermando il seguente principio di diritto: «Ove il destinatario della notificazione a mezzo pec del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del secondo comma della medesima disposizione), l’asseverazione di conformità all’originale (ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (artt. 380 bis, 380 bis.1 e 380 ter c.p.c.), sicché solo in difetto di tale produzione “postuma”, il ricorso sarà dichiarato improcedibile» (Cass. 22438/18; conf. Cass. 8312/2019; Cass. 32231/2018). Si tratta, a ben vedere, di un artificio interpretativo finalizzato a rendere meno gravose per il ricorrente le conseguenze della mancata attestazione di conformità dell’atto e che, oltretutto, nel caso del processo tributario, trova un aggancio normativo anche nell’ultimo capoverso dell’art.22 D. Lgs. 546/92, il quale stabilisce che «ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l'esibizione degli originali degli atti e documenti di cui ai precedenti commi». Depongono in tal senso anche la previsioni del CAD (in particolare gli artt. 20 e 23-bis) che, con riferimento alle copie informatiche, impongono l'obbligo di conservazione dell'originale; obbligo che non avrebbe senso se non fosse permesso un accertamento postumo della veridicità del documento informatico. Va da sé che in queste ipotesi il termine “contestazione” dovrebbe essere inteso in senso ampio e non meramente letterale, posto che altrimenti si giungerebbe ad escludere l’applicabilità del principio in questione proprio nei casi – come quello in discorso - di contumacia del resistente. Sembra invece ragionevole ritenere che il termine “contestazione” ricomprenda quoad effectum ogni ipotesi controversa, caratterizzata cioè dall’insorgenza di dubbi in ordine alla regolarità della notifica e, dunque, alla validità della costituzione del rapporto processuale tra le parti; dubbi che possono originare anche dall'osservanza non puntuale delle prescrizioni normative in tema di processo telematico. In sintesi, la ratio della norma, ricostruita in chiave evolutiva alla luce dei principi sanciti dalla S. Corte, è che ogni qual volta il giudice dubiti che il rapporto processuale sia stato validamente instaurato, a causa di un possibile vizio di notifica dell’atto introduttivo, egli dovrebbe esercitare questo potere istruttorio conferitogli dalla legge, prima di dichiarare d’ufficio l’inammissibilità del ricorso, nel rispetto del principio del contraddittorio (art.101 comma 2 c.p.c.). Una diversa interpretazione rischierebbe infatti di generare il paradosso per cui, ove il resistente si costituisse in giudizio contestando la ritualità della notifica, il giudice sarebbe chiamato ad operare la verifica prevista dall’ultimo comma dell’art.22, nel mentre laddove il convenuto non si costituisse (magari per una sua scelta o semplicemente per inerzia), tale verifica sarebbe preclusa. Per concludere, sia consentito formulare un auspicio e cioè che la sentenza annotata, al pari delle altre di analogo tenore sopra richiamate, rimanga espressione di un orientamento minoritario, destinato a cedere il passo ad interpretazioni meno ancorate ad un rigido formalismo e più sensibili ai valori reali del processo, il cui fine ultimo - conviene sempre rammentarlo – è quello di fare giustizia.

Fonte: MementoPiù; Casa Editrice: Giuffrè Francis Lefebvre

Avv. Achille Benigni, Avvocato Tributarista Cassazionista, componente collegio revisore dei conti Uncat

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