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La variabile del furto nelle cessioni IVA all’esportazione

Avv. Clino De Ieso

Iva e Dogane

La sentenza della Corte di cassazione n. 37271/2022, relativa ad una cessione di beni destinati all’esportazione ma che sono rubati prima della loro uscita fisica dal territorio dell’Unione Europea, si fonda sull’idea che è il furto della merce in Italia a determinare la perdita definitiva del diritto alla non imponibilità IVA, nella misura in cui tale furto impedisce il trasporto della merce oltre i confini europei. Questa idea non basta, tuttavia, per scongiurare il rischio che l’operazione non sia assoggettata all’imposizione. Pertanto, la Cassazione si sforza di ricercare una soluzione interpretativa che, posticipando la sottrazione fraudolenta dei beni all’effetto traslativo della proprietà, le consenta una riqualificazione della cessione come nazionale e, dunque, imponibile. La sentenza della Corte di cassazione n. 37271/2022 riguarda una cessione di beni destinati ad essere esportati, ma che sono rubati prima della loro effettiva uscita dal “territorio della Comunità economica europea”. La Cassazione, ribaltando la decisione d’appello, ha ritenuto legittimo il disconoscimento del regime di non imponibilità sulla base di un percorso argomentativo il quale, oltre ad essere consapevolmente costruito su distinzioni e interrelazioni fra le categorie tributarie e civilistiche, trova un substrato nella nozione di cessione IVA contraddistinta, com’è noto, dal trasferimento del diritto di “disporre di un bene materiale come proprietario”. Sorge, a questo punto, un problema interpretativo, che sembrerebbe apparentemente ostacolare la conclusione raggiunta nella decisione in esame: dalla quale emerge, in modo chiaro, che è il furto della merce a determinare la perdita definitiva del diritto alla non imponibilità nella misura in cui tale furto impedisce il trasporto dei beni al di fuori del territorio dell’Unione. Meno chiaro, in quanto non rimarcato nella sentenza, è che - come si vedrà nel prosieguo - l’operazione non sarebbe stata assoggettata ad IVA se il furto fosse avvenuto prima del trasferimento della proprietà. Ecco, quindi, svelata la ragione dello sforzo della Cassazione verso una soluzione interpretativa che, posticipando la sottrazione fraudolenta dei beni all’effetto traslativo della proprietà, le consenta una riqualificazione della cessione come nazionale e, dunque, imponibile. Tenendo conto, ovviamente, che a livello nazionale il trasferimento del potere di disporre dei beni è collegato agli effetti giuridici della cessione il cui fatto generatore consiste nel trasferimento della proprietà intesa in senso giuridico. Si percepisce, in questa precisazione, che il furto non è assimilabile ad una cessione di beni a titolo oneroso. Infatti, colui che lo commette in qualità di mero detentore delle merci, seppur fraudolento, non può disporre dei beni alle stesse condizioni del proprietario e, dunque, non può trasferire tale disponibilità ad un altro soggetto. A queste premesse concettuali, la Cassazione aggiunge che l’assoggettamento ad imposta della cessione, in luogo della non imponibilità, non è una sanzione considerato che “il riconoscimento dell’esenzione non può finire con l’assumere un significato ‘premiale’”. A riguardo, precisa la Suprema Corte, “v’è solo l’esigenza di adeguare il trattamento fiscale di un’operazione che, non potendo trattarsi in esenzione, per non sussisterne i presupposti, non può che rientrare nell’egida degli artt. 1 e 2 del D.P.R. n. 633/1972” che prevedono l’applicazione del tributo.

La vicenda processuale

L’attuale sistema IVA è costellato da una pluralità di fonti tipiche, ma anche atipiche come le interpretazioni creative della giurisprudenza che possono abrogare la norma o riscriverne il suo contenuto. Da questo conflitto nasce la moderna complessità giuridica che disorienta gli operatori economici e li porta, a fronte dell’insostenibile provvisorietà delle loro scelte fiscali, alle richieste di consulenza fiscale rivolte direttamente all’ente impositore. Analoghe sensazioni di disorientamento provano gli studiosi del diritto, la maggior parte dei quali sta prendendo coscienza che l’assetto normativo, nonostante l’inerzia del legislatore, è sempre in continua e rapida evoluzione in conseguenza dell’evolversi del ruolo del giudice-interprete che inventa il diritto. In questo rinnovato scenario diventa fondamentale leggere con attenzione le decisioni della Suprema Corte che spesso, come nella sentenza in commento, impartisce degli insegnamenti teorici e pratici. Come sopra accennato il tema in discussione è il regime IVA applicabile ad una cessione di beni che il fornitore nazionale considera non imponibile, ancorché la merce non abbia oltrepassato i confini europei a causa del furto avvenuto in Italia. I giudici d’appello hanno confermato la non imponibilità dell’operazione sulla base di un precedente giurisprudenziale del 2001 che - a loro dire - avrebbe esaminato un caso uguale alla fattispecie in esame. Di diverso avviso è la Cassazione, secondo cui le due vicende processuali si discostano l’una dall’altra e, quindi, non sono uguali. È vero che in entrambe le cause è presente l’evento del furto, ma i suoi effetti si riverberano su elementi di fatto sostanzialmente differenti. Nella decisione n. 15445/2001, che riconosce il diritto alla non imponibilità, l’esistenza dell’operazione è presunta, il che giustifica il richiamo all’art. 53 del D.P.R. n. 633/1972. Mentre, nel caso della sentenza in commento, il rinvio alle presunzioni IVA sembra inconferente visto che - secondo la Cassazione - l’esistenza civilistica e fiscale dell’operazione è certa. Segno evidente che, in realtà, l’invocazione del giudice di merito all’arresto n. 15445/2001 non è pertinente ai fatti di causa. Le conseguenze pratico-operative per i difensori tributari sono evidenti: la spia dell’effettiva forza persuasiva del precedente giurisprudenziale è la sua totale sovrapponibilità, in fatto e in diritto, al caso concreto oggetto dei futuri processi.

Il trasferimento della proprietà: prima o dopo il furto?

Fin da una prima lettura della pronuncia commento, appare evidente che l’irreversibile perdita del diritto alla non imponibilità dipenda dal furto che ha reso irrealizzabile la fuoriuscita fisica dei beni dal territorio UE. Tuttavia, a un più attento esame, ci si rende conto che sulla decisione incide anche la risposta ad un altro interrogativo: il furto è avvenuto prima o dopo il trasferimento della proprietà? A seconda del responso si aprono soluzioni alternative come delle sliding doors che, una volta varcate, portano ad un regime fiscale differente. In un caso (furto prima del trasferimento della proprietà), il fornitore nazionale non dovrebbe emettere alcuna fattura stante l’impossibilità di adempiere all’obbligazione contrattualmente pattuita con il cliente estero: oppure, ove l’abbia emessa, dovrebbe annullarla in quanto la fattura documenta una operazione esclusa dal campo di applicazione dell’IVA per carenza del requisito oggettivo. Diversa è la seconda ipotesi (furto dopo il trasferimento della proprietà), che è esattamente quello che la Corte ritiene essere avvenuto nel caso oggetto della decisione in commento. In tal caso, il fornitore nazionale “a fronte della scoperta del furto” dovrebbe riqualificare l’operazione come cessione interna e, di conseguenza, rettificare la fattura originaria (non imponibile IVA) applicando l’imposta addebitata al cliente statunitense. Questa soluzione, avallata dalla sentenza in esame, risulta condivisibile. D’altronde, le cessioni all’esportazione sono operazioni IVA perfette sotto il profilo oggettivo, soggettivo e territoriale. Ma, allora, perché alle operazioni con l’estero, che possiedono i tre requisiti fondamentali dell’imposta, può applicarsi il regime di non imponibilità? La risposta sta nell’applicazione del principio di tassazione a destino nel luogo di consumo per effetto del quale l’operazione, originariamente rilevante in Italia, può essere successivamente detassata qualora essa sia destinata verso un altro Stato. L’impostazione è giustificabile alla luce di una finalità politico-economica tesa a non ostacolare, attraverso lo strumento giuridico dell’IVA, lo scambio di beni e servizi con gli Stati esteri. Del resto, i due principi cardine dell’imposizione indiretta, già presenti nelle disposizioni fiscali del Trattato di Roma, sono “la non discriminazione fra prodotti nazionali ed esteri” e la “tassazione nel Paese di destinazione (o di consumo)”. L’IVA è dotata di questa logica in quanto tende alla neutralità, dal punto di vista concorrenziale, mediante la ricerca di un ragionevole bilanciamento fra la detassazione dei beni in uscita dallo Stato a cui corrisponde, in direzione contraria, l’imposizione dei beni in entrata nel medesimo Stato.

I diversi effetti della consegna

Come si è visto, la Corte di cassazione ha optato per l’imponibilità della cessione nel tentativo, anche comprensibile, di arginare una interpretazione delle norme che, anticipando il furto al trasferimento della proprietà, avesse come estrema conseguenza la non applicazione dell’imposta. In questa prospettiva, il profilo più interessante della decisione in commento è il richiamo all’art. 1510, comma 2, c.c., che recita testualmente così: “Salvo patto o uso contrario, se la cosa venduta deve essere trasportata da un luogo all’altro, il venditore si libera dall’obbligo della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere (...)”. La norma civilistica è utilizzata dalla Suprema Corte per sostenere l’assioma, non dimostrato ai fini IVA, per cui il fatto generatore dell’imposta sorge, “in caso di vendita di cose mobili da trasportare da un luogo ad un altro”, con “la consegna al vettore o allo spedizioniere” che “segna il momento traslativo del diritto di proprietà”. Pertanto, “già con la consegna della merce (...) al vettore”, il fornitore italiano “trasferì la proprietà alla società statunitense. Il che vale anche ai fini IVA, posto che l’art. 6, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, stabilisce in linea generale” che le “cessioni di beni si considerano effettuate (...) nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili”. L’affermazione, animata dal condivisibile intento di offrire agli operatori economici un valido criterio per stabilire con ragionevole certezza il momento del passaggio del diritto di proprietà dei prodotti commercializzati al cliente, merita alcune puntualizzazioni e chiarimenti che la giustifichino e che ne definiscano la portata. La “consegna” dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 è riferita all’esigibilità dell’imposta, cioè, al momento a partire dal quale l’Erario può richiedere al soggetto passivo il pagamento dell’imposta. Anche per questo sarebbe stato, forse, più opportuno fare riferimento al precedente art. 2 che, relativamente alle cessioni, individua il fatto generatore del tributo. Con tale premessa, è bene porsi il problema della compatibilità della normativa IVA con l’art. 1510, comma 2, c.c. nella quale è consacrata l’equazione consegna = trasferimento proprietà certamente derogabile dalle parti contraenti (“Salvo patto o uso contrario”). Una soluzione plausibile, in linea con l’insegnamento della Cassazione che tende a conservare le categorie civilistiche in ambito fiscale usando il filtro della “realtà economica e commerciale”, potrebbe essere quella di ritenere che, ai fini IVA, prevalga la volontà contrattuale delle parti rispetto alla regola dell’art. 1510, comma 2 c.c. che, però, potrebbe eccezionalmente ritornare ad applicarsi ove l’accordo non stabilisca nulla a riguardo.

I rimedi per la protezione della neutralità fiscale

L’ultima questione attiene al principio di neutralità che, in teoria, dovrebbe impedire che l’Erario e gli operatori coinvolti nella cessione all’esportazione, rimasta incompiuta per il furto in Italia, sopportino il peso definitivo dell’IVA. Quanto all’ente impositore, è tutelato dalla sentenza definitiva della Cassazione che consentirà all’Agenzia delle entrate di recuperare l’IVA a debito non applicata in fattura dal fornitore italiano (S.F. S.p.A.). Quest’ultimo, laddove effettui il pagamento delle somme accertate in favore dell’ente impositore, potrà restare indenne dal tributo mediante l’esercizio della rivalsa postuma, che, in questo caso, potrebbe andare a buon fine considerato che il cliente non è un soggetto terzo, bensì un operatore (S.F. USA) che appartiene allo stesso gruppo societario. Resta, infine, da valutare la posizione del cliente estero intorno alla quale si pongono due problemi. Sul piano procedurale, il cliente sembra privo di un rimedio per il recupero dell’imposta. Vi è, tuttavia, da chiedersi se il principio di effettività imponga al legislatore nazionale di riconoscere al cliente estero una modalità di esecuzione del rimborso “fuori sistema”, specialmente nel caso in cui, oltre a “non” venire “in rilievo alcun comportamento fraudolento”, la riqualificazione della cessione come nazionale e, dunque, imponibile è giustificata da una causa di forza maggiore (furto), cioè da un atto straordinario ed imprevedibile del tutto estraneo alla sfera d’azione degli operatori che hanno partecipato all’operazione. Peraltro, l’eccezionalità del furto, che rappresenta il momento “zero” ai fini della nuova detraibilità dell’imposta, collegato al principio del legittimo affidamento potrebbe costituire la chiave per superare i dubbi sulla legittima detraibilità dell’imposta assolta per l’acquisto di un bene rubato prima che lo stesso sia entrato nel processo produttivo dell’attività economica del cliente. Più chiaramente, potrebbe essere il nesso causale fra l’acquisto del bene ed il suo ribaltamento a valle, purché prospetticamente possibile, a garantire il diritto di detrazione laddove l’interruzione della linea prospettica discenda da un evento estraneo alla volontà del soggetto passivo.

Fonte: Corriere Tributario, n. 3, 1 marzo 2023, p. 274

Avv. Clino De Ieso, Avvocato Tributarista cassazionista, Partner Studio Legale Tributario Centore

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