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torna alle newsLa difesa dell'indagato (o imputato) nel processo per reati fiscali
Prof. avv. Gianluca Gambogi
Con particolare riferimento agli indizi provenienti dalla fase di accertamento tributario. Il presente contributo analizza le varie possibilità difensive e la reale portata, e quindi il concreto utilizzo, di alcuni strumenti difensivi soprattutto con riferimento alla causa di non punibilità del pagamento del debito tributario e al patteggiamento.
Premessa
La difesa in ambito penale tributario è senza dubbio una tra le più complesse tra quelle che un Avvocato può affrontare. Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto le pene edittali di alcuni reati tributari, davvero molto significative. Inoltre non possono dimenticarsi gli aspetti concernenti le confische, anche per equivalente e anche quelle previste per casi particolari. Si rifletta poi sul fatto che, spesso, nel corso della difesa penale tributaria, è necessario confutare elementi indiziari o altri elementi di prova di provenienza amministrativa. Il difensore penale si deve infatti confrontare con risultanze accusatorie desumibili dall'operato della Guardia di Finanza in sede di accessi, ispezioni e verifiche o dall'operato delle Agenzie delle Entrate e dei loro funzionari accertatori. Infine, le contestazioni accusatorie per i reati tributari si accompagnano, assai frequentemente, alla contestazione di altri reati più o meno gravi e ciò rende ancor più complessa la difesa. Brevi cenni introduttivi sul rapporto tra illecito tributario e illecito penal-tributario Non v'è dubbio che l'argomento di cui trattasi sia per un verso stimolante e per altro verso piuttosto difficile da affrontare. Da ormai diversi anni la lotta all'evasione fiscale è diventata un preciso impegno dei vari governi che si sono succeduti nel tempo. Per poter stabilire alcune tecniche di difesa del contribuente si deve innanzitutto considerare che nel nostro ordinamento esistono due tipi di illecito tributario: quello amministrativo e quello di natura penale. Più precisamente potremmo dire che l'illecito tributario, in senso lato, si verifica tutte le volte in cui la legge commina una sanzione come conseguenza dell'inosservanza da parte del contribuente delle norme poste a tutela dei diritti di riscossione spettanti allo Stato o ad altro Ente pubblico.
Insomma, in altre parole, non v'è dubbio che la cosiddetta ragione erariale è una chiave di lettura importante della materia. La distinzione tra illeciti si fonda più che su una differenza ontologica sulla disciplina sanzionatoria prevista dal legislatore. Sono amministrative le sanzioni denominate pecuniarie o accessorie, così come previste dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Sono invece di natura penale le pene principali della reclusione o della multa contemplate nel d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Come noto vi sono, tra le sanzioni di natura penale, anche l'arresto e l'ammenda, previste perle contravvenzioni, ma in ambito penale tributario attualmente non sono da considerarsi per il semplice motivo che gli illeciti sono di natura delittuosa a differenza, per esempio, di quanto accadeva durante il periodo di vigenza della cosiddetta manette agli evasori, legge n. 516/82la quale prevedeva anche reati tributari di natura contravvenzionale.
Può quindi ritenersi che gli illeciti amministrativi tributari e gli illeciti penali tributari (ovverosia i reati di natura fiscale) altro non sono che species di un più ampio genus di illecito tributario. Le complessità della difesa in ambito penale tributario La difesa nel processo per reati tributari è complessa per diversi ordini di motivi. È praticamente impossibile delineare un elenco completo delle difficoltà a cui va incontro il difensore penale e tuttavia, senza pretesa di essere esaustivi, possiamo segnalare i diversi ordini di motivi che appaiono anche i più rilevanti:
a) innanzitutto per le pene edittali previste dal legislatore soprattutto quelle dei delitti in materia di dichiarazione caratterizzati da frode (tanto la dichiarazione fraudolenta per uso di fatture false, quanto la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, prevedono la reclusione da 3 a 8 anni);
b) vi è un riscontro inequivocabile della volontà di inasprire le sanzioni da parte del nostro legislatore: basta confrontare l'originaria formulazione dell'art. 2 che al comma 3 prevedeva la reclusione da 6 mesi a 2 anni laddove l'ammontare degli elementi passivi fittizi fosse inferiore ad € 150.000,00 e l'attuale comma 2-bis che prevede invece la reclusione da 1 anno e 6 mesi a6 anni se gli elementi passivi fittizi risultano inferiore ad € 100.000,00;
c) le pene edittali significative portano, come logica conseguenza, la difficoltà a giungere aduna prescrizione (si consideri che i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da2 a 10, fin dalla manovra bis di Berlusconi, Legge 148/2011, sono elevati di 1/3) ed in pratica una dichiarazione fraudolenta, allo stato attuale delle cose e al netto degli interventi sulla prescrizione in generale, e anche quelli della riforma Cartabia che introduce anche il profilo della improcedibilità dell'appello, si prescrive in un tempo pari a quello della bancarotta fraudolenta;
d) l'estrema difficoltà ad utilizzare il rito del patteggiamento e ciò al netto delle condizioni poste dall'art. 13-bis del d.lgs. 74/2000.
e) lo stretto rapporto tra l'attività difensiva del penalista e il diritto tributario che impone il dover necessariamente tener conto nell'affrontare la difesa penale quantomeno dei seguenti aspetti: i limiti e i confini della fattispecie tributaria sottostante; i rapporti tra il processo tributario e quello penale, soprattutto con riferimento all'utilizzo delle prove; il limite probatorio delle risultanze acquisite in sede amministrativa anche con riferimento alla emersione di indizi di reato nel corso dell'attività ispettiva; l'atipicità dei mezzi di prova nel processo penale (art. 189 c.p.p.) da porre in relazione con determinate risultanze amministrative e per esempio con l'accertamento induttivo (cfr.Cass. pen., sez. III, n. 32858/22); il diverso atteggiarsi di alcuni aspetti con riferimento alla difesa penale cautelare e nel merito; la rilevanza dei giudicati (soprattutto per il penalista è importante verificare la rilevanza del giudicato tributario, cfr. ordinanza Cass. civ., n. 25632/21, nonché Cass. pen., sez. III, n.6113/16); il delicato rapporto tra sanzioni amministrative e sanzioni penali (e quindi anche i profili concernenti il ne bis in idem e la giurisprudenza della CEDU che meriterebbero da soli una giornata di approfondimento e a tal proposito si suggerisce la lettura di Corte Giustizia U.E., Sez. I, n. 570/22 e Cass. pen., sez. III, n. 2245/21);
f) la circostanza, non di poco conto, concernente il fatto che spesso e volentieri il reato fiscale si accompagna ad altre contestazioni: nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari più famoso dell'anno, peraltro noto al grande pubblico da alcuni giorni (mi riferisco al procedimento penale n. 12955/21 della Procura della Repubblica di Torino, Andrea Agnelli +15), la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false si accompagna ad altre ipotesi delittuose come le false comunicazioni sociali delle società quotate in borsa, la manipolazione del mercato, l'ostacolo alla vigilanza e anche alle contestazioni in forza della cosiddetta ‘responsabilità amministrativa dell'Ente' e anche alle contestazioni di cui al d.lgs. n. 231/01 in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche che, come noto, ormai da qualche anno, annovera (art. 25, quinquies decies)anche i reati fiscali tra quelli presupposti;
g) la tendenza - al di là della notizia sopra riportata (ovviamente di grande risalto soprattutto verso il pubblico che si interessa di sport) - si conferma anche con riferimento ad altre e specifiche situazioni: si pensi, ad esempio, al rapporto tra reati fiscali e riciclaggio e anche a quello tra reati fiscali e autoriciclaggio (cfr., ad esempio, Cass. pen., sez. III, n. 7503/21 ma anche Cass. pen., sez. II, n. 30889/20).
L'utilizzabilità nel processo penale di atti formati o acquisiti in sede amministrativa
Se è vero che vi sono le complessità sopra evidenziate, è altresì vero che il difensore penale deve attentamente considerare alcuni aspetti che riguardano proprio l'utilizzabilità di elementi probatori di provenienza amministrativa e che si intendono far valere in ambito penale. Vi sono immediatamente due questioni da tenere presenti e distinte tra loro: la prima riguarda la distinzione tra fase delle indagini preliminari e dibattimento (distinzione estremamente importante per poter apprezzare i diversi criteri di ingresso di elementi probatori in ambito penalistico); la seconda riguarda il diverso atteggiarsi delle risultanze probatorie acquisite in via amministrativa nel caso di loro utilizzo in ambito cautelare penale o penale di merito. Con riferimento alla prima distinzione evidenziata si consideri che nella fase delle indagini preliminari, senza pretesa di essere, anche in questo caso, esaustivi, si debbono tenere presenti e quindi a mente alcuni principi utili a tutelare l'indagato: innanzitutto è ovvio che nel fascicolo del P.M. troveremo tutto ciò che viene reperito in fase di accertamento e quindi tutto ciò che risulta diventare materiale probatorio a seguito degli accessi, ispezioni, verifiche o di altri controlli di natura amministrativa; in secondo luogo il difensore dovrà sempre tener presente quanto disposto dall'art. 220delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e cioè che laddove nel corso delle suddette attività emergano indizi di reità, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto altro possa servire per l'applicazione della legge penale, dovranno compiersi con l'osservanza delle disposizioni del codice di procedura penale e cioè con le garanzie difensive (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 27448/22 in virtù della quale si delinea il giusto principio secondo il quale l'inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto, fin dall'inizio, essere sentito come persona indagata, postula necessariamente che a carico del predetto siano acquisiti, prima della sua escussione, indizi non equivoci di reità); inoltre gli indizi di prova acquisiti prima che emergano indizi di reità, saranno invece allegati alla denuncia, ai sensi dell'art. 332 c.p.p., e alla comunicazione di reato prevista dall'art.347 c.p.p.; infine, nel caso di giudizio abbreviato, è bene ricordare che il Giudice potrà tener conto, ai sensi dell'art. 442, comma 1-bis, di tutto il materiale probatorio che risulti essere presente nel fascicolo del P.M. e, più precisamente, della comunicazione di notizia di reato, della documentazione relativa alle indagini espletate, i verbali degli atti compiuti dinanzi al GIP e le cose pertinenti al reato allegate al fascicolo nonché le risultanze delle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio (e ciò impone necessariamente una profonda attenzione sull'opportunità o meno di ricorrere a questo rito speciale laddove si pensi di poter confutare alcune risultanze attraverso prove da sfogare nel corso del dibattimento).
Per quanto attiene invece alla fase dibattimentale, il difensore della persona imputata di un reato fiscale dovrà considerare i seguenti aspetti:
innanzitutto quanto previsto dall'art. 431 c.p.p. e quindi dovrà verificare che nel fascicolo del dibattimento siano raccolti soltanto gli atti espressamente previsti dalla suddetta norma(tra i vari atti che hanno diritto d'ingresso vi sono anche i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla Polizia Giudiziaria e quindi in ambito penal-tributario è evidente che si debba far riferimento agli atti della Guardia di Finanza);
inoltre si deve tener presente che sempre l'art. 431 c.p.p. prevede, al comma 2, che le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo di atti contenuti nel fascicolo del P.M. nonché ulteriore documentazione relativa alle investigazioni difensive (può capitare che l'imputato abbia comunque interesse a far acquisire immediatamente al fascicolo del dibattimento atti quali, ad esempio, il processo verbale o gli avvisi di accertamento poiché ritenuti utili alla difesa ed anche perché, come vedremo, avrebbero comunque ingresso nel fascicolo);
gli atti non ripetibili, come già evidenziato, entrano nel fascicolo e a tal proposito occorre comunque far riferimento a quanto disposto dall'art. 354, comma 2 c.p.p., e quindi agli accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi o sulle cose e sulle persone ed anche per i sequestri;
il processo verbale di constatazione e l'avviso di accertamento potranno comunque entrare nel fascicolo del dibattimento come documenti e cioè attraverso l'art. 234 c.p.p. anche se, per quanto attiene al PVC, è da ritenersi che gli elementi valutativi contenuti non siano utilizzabili (in tal senso, Cass. pen., sez. III, n. 36302/19);
inoltre gli atti prodotti al dibattimento potranno essere utilizzati per la decisione se legittimamente acquisiti ed è quindi da tener presente, per il difensore, il combinato disposto tra l'art. 191 c.p.p. e il già ricordato art. 220 disp. att. c.p.p. con la logica conseguenza che gli atti acquisiti dagli organi accertatori e quindi Guardia di Finanza o funzionari dell'Agenzia delle Entrate dopo l'insorgere degli indizi di reità sono inutilizzabili se non sono state osservate le disposizioni del codice di procedura penale poste a garanzia dell'indagato;
in tal senso le dichiarazioni rese spontaneamente dal contribuente senza l'assistenza del difensore quando il contribuente medesimo doveva essere sentito ai sensi dell'art. 63 c.p.p. in qualità di persona sottoposta a indagini, sono inutilizzabili.
Vi è poi un'ulteriore questione, anch'essa molto importante: qual è la sorte processuale degli atti compiuti in sede di verifica in violazione delle disposizioni tributarie?
Si pensi, ad esempio, all'accesso in determinati locali senza l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, così come invece è previsto dall'art. 52 d.p.r. n. 633/72 oppure a quegli accessi senza l'autorizzazione degli Ispettori delle imposte o del Comandante di zona per la Guardia di Finanza (art. 33 d.p.r. n. 600/73). L'orientamento prevalente è quello di considerare comunque utilizzabili gli elementi probatori raccolti anche se non sussistenti le relative autorizzazioni. Per quanto attiene alla seconda distinzione e cioè quella riguardante il diverso atteggiarsi delle risultanze probatorie acquisite in via amministrativa nel caso di utilizzo in ambito cautelare penale o penale di merito, è il caso di osservare che spesso e volentieri l'accertamento dei reati tributari si basa sull'utilizzazione (in senso non esclusivo, ben s'intende) di elementi presuntivi. Ciò è perfettamente comprensibile tenuto conto che le presunzioni tributarie e anche gli accertamenti induttivi e sintetici possono considerarsi strumenti la cui funzione è essenzialmente quella di agevolare l'Amministrazione Finanziaria sotto il profilo probatorio, ponendo, in buona sostanza, l'onere della prova a carico del contribuente. Sui profili concernenti l'accertamento induttivo ci siamo soffermati in precedenza, giova semmai aggiungere che per giurisprudenza unanime nel giudizio penale per reati tributari il Giudice ai fini della determinazione dell'imposta dovuta può avvalersi dell'accertamento induttivo, compiuto mediante gli studi di settore degli uffici finanziari (cfr. Cass. pen., sez. III,n. 11123/21, nonché Cass. pen., sez. III, n. 3607/19).
È evidente che la questione sia di grande interesse anche sotto il profilo penalistico e a tal proposito la domanda da porsi è quale valenza possiamo attribuire ai suddetti strumenti sotto il profilo probatorio penale?
La tematica deve essere affrontata tenendo presente che il Giudice penale è tenuto a compiere un accertamento autonomo diretto a verificare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato per il quale si procede in forza dei principi propri del processo e quindi con il criterio di giudizio dell'oltre il ragionevole dubbio ovverosia un corollario, il più importante, della presunzione di innocenza costituzionalmente garantita e quindi non può certo fare ricorso a presunzioni tributarie per ritenere sussistente un fatto.
Tuttavia giova osservare che si deve ammettere un'eccezione nel caso di misure cautelari reali laddove è sufficiente l'oggettiva sussistenza indiziaria del reato ed è quindi legittimo il ricorso alle presunzioni tributarie proprio per il loro valore (indiziario) sufficiente ad integrare il fumus commissi delicti (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 36302/19, avente riguardo ad una fattispecie dissequestro preventivo, che stabilisce la legittimità del ricorso alla presunzione tributaria in quanto in sede cautelare reale è sufficiente l'oggettiva sussistenza del fumus del reato che consente di prescindere da altri profili e segnatamente da quelli concernenti la colpevolezza del suo autore). Si può quindi ragionevolmente sostenere che, da un lato, la valutazione delle presunzioni tributarie, ai fini della decisione nel merito del Giudice penale, è caratterizzata dalla non automatica trasferibilità nel processo che qui interessa. È vero, tuttavia, che bisogna riconoscere alle stesse una qualche rilevanza poiché possono costituire indizi valutabili dal Giudice penale alla stregua dei criteri dettati dall'art. 192, comma2, c.p.p. Diversa invece, come abbiamo visto, la valenza sul piano cautelare in quanto occorre ammettere - e quindi necessariamente tener conto - della loro maggior efficacia probatoria (nel senso di indiziaria) con riferimento al fumus.
Difese esperibili per i reati dichiarativi
Le scelte difensive sotto il profilo penale - con riferimento alla fase di merito e non a quella cautelare – si differenziano, ovviamente, a seconda che si debba affrontare un processo per reati dichiarativi o, invece, per quelli di omesso versamento (non foss'altro perché, per questi ultimi, il dato evidenziato dal punto di vista amministrativo è, per così dire, automaticamente rilevante in ambito penale e ciò per il semplice motivo che deriva da controlli automatizzati). Ne consegue che – come vedremo poco oltre – nei reati omissivi è particolarmente difficile contestare l'esistenza del fatto storico. Per quanto attiene ai reati dichiarativi è il caso di ricordare che è sempre utile distinguere quelli caratterizzati da frode (ovverosia quelli previsti e puniti dagli artt. 2 e 3 d.lgs. n. 74/00) dalle altre fattispecie delittuose ovverosia la infedeltà dichiarativa e l'omessa presentazione della dichiarazione (previste e punite dagli artt. 4 e 5). In merito alle frodi è opportuno evidenziare altresì che l'ipotesi più frequente per il penalista è quella di organizzare una difesa rispetto alla contestazione di dichiarazione fraudolenta per uso di fatture false o altri documenti per operazioni inesistenti. La ragione è molto semplice: rispetto alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, non vi sono le soglie di punibilità e, tutto sommato, rispetto alla suddetta ipotesi, vi sono anche minori criticità applicative da parte dei pubblici accusatori non foss'altro perché, spesso e volentieri, le frodi sono comunque ricollegabili alle fatture. Prendiamo quindi, ad esempio, le difese utilizzabili per confutare la sussistenza del reato previsto dall'art. 2. Si tratta, sostanzialmente, di difese convenzionali e per convenzionali si debbono intendere quelle difese tecniche che ogni penalista deve necessariamente avere nel proprio bagaglio culturale.
Più precisamente, e senza pretesa di essere esaustivi, le difese potranno riguardare:
inidoneità probatoria dell'accusa;
dimostrazione dell'effettività delle operazioni di cui alle fatture ritenute come oggettivamente inesistenti;
riferibilità delle operazioni di cui alle fatture ritenute come soggettivamente inesistenti;
non configurabilità del reato per mera non congruità del corrispettivo (argomento importante qualora la contestazione sia fondata sulla pretesa incongruità del prezzo pagato rispetto al valore del bene ceduto e su questo aspetto, in particolare, si leggano con attenzione due sentenze, non troppo datate, Cass. pen., n. 1464/2016 e Cass. pen., n.22108/2014, sempre, ovviamente, della Terza Sezione Penale);
irrilevanza penale delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini delle imposte sui redditi;
irrilevanza della diversità del soggetto cessionario rispetto all'effettivo fruitore del bene o del servizio;
difetto dell'elemento psicologico (è opportuno ricordare che per la sussistenza del delitto di cui trattasi è necessaria la prova del dolo specifico di evasione e quindi dal punto di vista difensivo si dovrà eccepire la reale sussistenza dell'operazione oppure la perfetta buonafede del cessionario);
estinzione del debito tributario e degli accessori quali sanzioni e interessi (l'estinzione di cui trattasi è senz'altro un utile strumento difensivo sul quale, come vedremo, vi sono ulteriori riflessioni da svilupparsi che potremo meglio delineare allorquando, poco oltre, si tratterà della portata e degli effetti dell'art. 13 d.lgs. n. 74/00).
È vero peraltro che la giurisprudenza offre interpretazioni evolutive delle quali si deve tener conto. Fino a poco tempo fa, infatti, allorquando si affrontava l'argomento dell'inesistenza delle operazioni, si richiamava la classica tripartizione: inesistenza oggettiva (se l'operazione indicata non è mai stata compiuta come nel caso di fatture provenienti dalle cosiddette cartiere); inesistenza soggettiva (se uno o entrambi i soggetti indicati sono diversi da quelli tra cui si è effettivamente svolta l'operazione); inesistenza per sovrafatturazione (quando il corrispettivo è indicato in maniera superiore a quello corrisposto e cioè, per esempio, quando si hanno fattura gonfiate per sponsorizzazioni sportive, ricerche di mercato, consulenze).
Orbene dobbiamo tener conto che la giurisprudenza (l'ultima è stata pubblicata lunedì28/11/22, Cass. pen., sez. III, n. 45114/22) aggiunge un'altra ipotesi di inesistenza: quella cosiddetta ‘giuridica'. Quest'ultima ipotesi si delinea nel caso di inesistenza ricollegabile ad un rapporto effettivamente intercorso tra le parti ma inquadrato con un negozio giuridico formalmente diverso da quello aderente alla realtà sostanziale. Sempre con riferimento all'art. 2, un'ulteriore considerazione può farsi in meito ad una tecnica difensiva processuale ovverosia l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale che è chiamato a giudicare della dichiarazione fraudolenta quando i responsabili dell'emissione delle fatture fase sono giudicati (o giudicabili) da altro e diverso Tribunale. In questo caso la competenza territoriale per l'art. 2, di cui trattasi, è ovviamente quella dell'art. 8 e quindi è senz'altro da eccepire. Occorre ricordare che trattandosi di un'incompetenza per territorio dovrà essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima dell'udienza preliminare e, nel caso in cui venga respinta, entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1, c.p.p. L'eccezione è senz'altro fondata non foss'altro perché, al di là di alcune pronunce della Suprema Corte in tal senso, vi è soprattutto un dato normativo inequivocabile e cioè quello concernente il disposto combinato degli artt. 12 e 16 c.p.p.: la competenza per territorio per i procedimenti connessi appartiene al Giudice competente per il reato più grave o, in caso di pari gravità, al Giudice competente per il primo reato (ovvio che il primo sia l'emissione della fattura falsa). Per completare la breve analisi sui reati dichiarativi caratterizzati da frode rimangono da valutare le possibili difese nel caso di contestazione di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d.lgs. n. 74/00). Abbiamo già evidenziato che tale ipotesi viene contestata con minor frequenza rispetto all'altra dichiarazione fraudolenta prevista e punita dall'art. 2.
Alcune difese previste per l'art. 2, come per esempio quella concernente il difetto dell'elemento psicologico o l'estinzione del debito tributario, sono, ovviamente, esperibili anche in questo caso prova ne sia che la causa di non punibilità prevista dall'art. 13, comma 2, è applicabile anche in questa seconda ipotesi di dichiarazione fraudolenta. È vero tuttavia che la struttura del reato di cui trattasi impone, necessariamente, al difensore di valutare altri aspetti. In particolare quelli concernenti il mancato superamento della cosiddetta soglia di punibilità al di sotto della quale non si potrà parlare di illecito di natura penalistica. A tal proposito giova ricordare che per la sussistenza del delitto di cui all'art. 3 è necessario il superamento di una doppia soglia di punibilità, riferita all'imposta evasa e anche all'ammontare degli elementi attivi sottratti all'imposizione. In particolare l'imposta evasa, sempre con riferimento a taluna delle singole imposte contemplate, dovrà essere superiore ad € 30.000,00 e, congiuntamente, l'ammontare degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, dovrà essere superiore, in misura proporzionale, al 5% dell'ammontare degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, in valore assoluto, superiore ad € 1.500.000,00.
È appena il caso di evidenziare che la difesa, se possibile anche mediante ricorso a consulenze tecniche di parte, potrà dimostrare che le suddette soglie, o anche soltanto una di esse, non sono state superate. L'altra possibile difesa riguarda la contestazione tesa a dimostrare che non vi siano state operazioni simulate richiamate dalla norma incriminatrice con riguardo alla condotta. Inoltre il difensore potrà sempre contestare che il proprio assistito non si sia avvalso di documenti falsi o altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'Amministrazione Finanziaria. Si tratta infatti dell'altro profilo rilevante ai fini della condotta della norma incriminatrice.
Tre ulteriori considerazioni da tener senz'altro presenti:
innanzitutto le condotte considerate di abuso del diritto e cioè quelle prive di sostanza economica che, nel rispetto formale delle norme, realizzano vantaggi fiscali indebiti non possono definirsi simulate ai sensi e per gli effetti dell'art. 10-bis l. n. 212/2000;
in secondo luogo la condotta si considera commessa se i documenti falsi sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti ai fini di prova nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria;
infine che non costituiscono mezzi fraudolenti le mere violazioni degli obblighi di fatturazione e annotazione degli elementi attivi.
Relativamente ai delitti dichiarativi diversi da quelli commessi con frode, si segnala brevemente quanto segue.
Intanto la pena prevista per la dichiarazione infedele (da 2 a 4 anni e 6 mesi) e per le omesse dichiarazioni (da 2 a 5 anni anche nel caso dell'omessa dichiarazione del sostituto d'imposta)sono assai inferiori rispetto a quanto evidenziato in precedenza. Per quanto attiene alla dichiarazione infedele occorre ricordare che è prevista una doppia soglia di punibilità che si deve congiuntamente realizzare. Più precisamente l'evasione deve essere superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad € 100.000,00. Inoltre l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, deve essere superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, superiore ad € 2.000.000,00. Anche in questo caso, quindi, una difesa esperibile è senz'altro quella di dimostrare il mancato superamento delle soglie di punibilità. La norma incriminatrice, fermo restando che alcune delle difese, come il difetto dell'elemento psicologico e l'estinzione del debito tributario sono richiamabili anche in questo caso, offre ulteriori possibilità difensive.
Innanzitutto giova ricordare che non si tiene comunque conto ai fini dell'applicazione della norma:
della non corretta classificazione;
della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali;
della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza;
della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali.
Infine, ulteriore difesa possibile è quella prevista dal comma 1-ter, il quale, fuori dai casi sopraindicati, sancisce l'irrilevanza, ai fini della punibilità, delle valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale, peraltro, non si tiene conto della verifica del superamento delle soglie di punibilità, anch'esse sopra richiamate.
Per quanto attiene alle due fattispecie di omessa dichiarazione previste dall'art. 5, comma 1 e5, comma 1-bis, ovverosia ivi compresa l'omessa dichiarazione del sostituto d'imposta, le difese attuabili possono riassumersi nel modo che segue:
difetto dell'elemento psicologico (con l'accortezza di considerare che nell'ipotesi di omessa dichiarazione del sostituto d'imposta di cui al comma 1-bis, è previsto il dolo generico);
estinzione del debito tributario;
inesistenza dell'obbligo di presentazione della dichiarazione (sia quella annuale, sia quella del sostituto d'imposta);
mancato superamento della soglia di punibilità (prevista per entrambe le ipotesi delittuose).
Le difese utili a confutare gli omessi versamenti penalmente rilevanti: le criticità della cosiddetta crisi di liquidità
Nei reati tributari omissivi, mi riferisco all'art. 10-bis, in tema di omesso versamento di ritenute dovute e certificate, e all'art. 10-ter, omesso versamento di Iva, le possibili difese penali, come già rilevato in precedenza, sono diverse non foss'altro perché il dato concernente l'omissione risulta dalle verifiche effettuate sul piano tributario e, più precisamente, da controlli automatici. Non v'è dubbio che alcune questioni debbano essere comunque affrontate come, ad esempio, quella riferibile al difetto dell'elemento psicologico. Senz'altro più rilevante, come vedremo ancor meglio poco oltre, la difesa concernente l'estinzione del debito tributario e degli accessori ad esso collegati. Per questi reati, infatti, a differenza dei reati dichiarativi di cui in precedenza, la causa di non punibilità prevista dall'art. 13, si applica mediante l'applicazione del comma 1. Quindi sarà sufficiente che l'estinzione integrale del pagamento degli importi dovuti, anche a seguito di speciali procedure conciliative, avvenga entro la dichiarazione di apertura del dibattimento e ciò a prescindere che vi sia stata la formale conoscenza del procedimento di accertamento amministrativo o di quello penale.
Vi sono tuttavia anche ulteriori rilievi difensivi.
Recentemente la Corte costituzionale, sentenza n. 175/22, con riferimento all'art. 10-bis, ha concretamente ridotto il perimetro punitivo del delitto di cui trattasi in un'ottica senz'altro più favorevole al contribuente. Da tener quindi presente il disposto di tale sentenza che sancisce l'illegittimità costituzionale della norma con riferimento alle parole dovute sulla base della stessa dichiarazione. Ne consegue che l'omesso versamento di ritenute potrà configurarsi solo nel caso in cui l'omissione riguardi quelle risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti e per un ammontare superiore a € 150.000,00 per ciascun periodo di imposta. Quest'ultimo rilievo introduce un'ulteriore considerazione difensiva e cioè quella concernente il superamento, o meno, della soglia di punibilità. Ragionamento che vale anche per l'omesso versamento dell'Iva previsto dall'art-10-ter: in questo caso il superamento della soglia è fissato ad € 200.000,00 per ciascun periodo d'imposta. È quindi utile, così come abbiamo già evidenziato in tema di possibili difese rispetto alle contestazioni di infedeltà dichiarativa e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici nonché di omessa dichiarazione, valutare attentamente la possibilità di ricorrere ad un perito diparte per introdurre un elemento difensivo importante, se non addirittura risolutivo, e cioè quello del mancato superamento delle soglie. Sempre con riferimento a entrambi i reati, un'altra possibile difesa è quella concernente la richiesta di concordato preventivo. La semplice richiesta, per giurisprudenza unanime, non scrimina ma, al contrario, l'ammissione al concordato scrimina in entrambi i reati. Anche la dichiarazione di fallimento, intervenuta prima dell'insorgere dell'obbligo di pagamento delle ritenute e dell'Iva, è considerata scriminante. Due ulteriori considerazioni difensive: la prima riguarda il dovere di attenzione ai termini di prescrizione dei reati che sono inferiori rispetto a quanto evidenziato nei reati cosiddetti dichiarativi e ciò per il semplice motivo che l'art. 17, comma 1-bis d.lgs. n. 74/00, non si applica nel caso di specie; la seconda riguarda la cosiddetta crisi di liquidità ovverosia lo stato di difficoltà economica-finanziaria dal quale discende l'insolvenza del debitore. Quest'ultima può configurarsi come un'esimente riconducibile all'art. 45 c.p.
In virtù degli orientamenti giurisprudenziali più rilevanti il reato è escluso quando si verificano le condizioni di seguito riportate:
un'assenza di liquidità dell'impresa non meramente temporanea che comporti un'assoluta impossibilità di far fronte ai versamenti dovuti;
una crisi di liquidità che derivi da fatto imponderabile, imprevisto e imprevedibile;
una situazione di crisi non imputabile all'imputato;
una condotta riconducibile al soggetto attivo dalla quale si dimostri che abbia fatto tutto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge.
Invocare quindi a propria difesa la crisi di liquidità non è semplice e a ciò si aggiunga che l'esclusione della responsabilità penale è senz'altro subordinata ad un rigoroso onere probatorio imposto all'imputato e consistente nell'allegazione di tutti quegli elementi a proprio discarico. Vi è un ulteriore profilo di criticità, se possibile ancor più insidioso.
La crisi di liquidità per essere correttamente invocata necessita il verificarsi delle condizioni sopra riportate e quindi deve ritenersi insussistente nelle ipotesi in cui l'omesso pagamento del debito tributario sia frutto di una scelta consapevole dell'imprenditore che decide di destinare le limitate risorse disponibili al pagamento dei dipendenti e fornitori così da privilegiare tali ultimi creditori rispetto all'Erario (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 43811/17 e prima ancora Cass. pen., sez. III, n. 15416/14). Ne consegue che, inevitabilmente, laddove la crisi si perpetua per più anni d'imposta, non potrà più invocarsi l'esimente proprio perché sarà a quel punto evidente la volontà dell'imprenditore di continuare la propria attività privilegiando creditori diversi dall'Erario.
La difficile difesa nel caso di contestazione dell'art. 8 d.lgs. n. 74/2000: gli elementi sintomatici per definire, secondo l'accusa, l'emittente come cartiera.
Nel caso di contestazione del reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, le difficoltà difensive sono davvero rilevanti. Trattasi di un delitto estremamente importante dal punto di vista del sistema punitivo penal-tributario ed è peraltro evidente, come si legge nella relazione di accompagnamento al d.lgs. n.74/2000, più volte richiamato, l'interconnessione tra l'emissione di false fatture e l'utilizzazione delle stesse al fine di avvalorare le dichiarazioni mendaci: condotte che rappresentano facce opposte della medesima medaglia. Non è un caso, quindi, che il reato di cui trattasi, come del resto quello dell'art. 2, sia punito con la stessa medesima pena e non abbia soglie di punibilità. Inoltre la stessa storia penale tributaria ci delinea ulteriormente l'interconnessione se si pensa che tanto l'art. 8, quanto l'art. 2, hanno sempre subito i medesimi interventi legislativi come, ad esempio, l'abrogazione dei rispettivi commi 3 e l'introduzione, successivamente, dei commi2-bis. Difficile pertanto affrontare dal punto di vista penalistico la difesa del soggetto individuato come cartiera.
A tal proposito si consideri che, alla luce delle risultanze giurisprudenziali, gli elementi, spesso derivanti proprio dalla fase di accertamento in sede fiscale, in forza dei quali si considera la sussistenza della cartiera, sono stati, di volta in volta, individuati nelle seguenti situazioni:
legali rappresentanti dell'ente emittente nullatenenti e nei cui confronti ogni eventuale escussione patrimoniale non darebbe alcun frutto per l'Erario;
omissione del versamento delle imposte dovute, in modo particolare se continuata in anni di imposta diversi, ovvero effettuazione di compensazioni per crediti di imposta inesistenti;
oggetto sociale avente numerose attività commerciali;
irreperibilità presso la sede legale dichiarata;
mancanza di sede operativa, mancato assolvimento, in tutto o in parte, agli obblighi contabili o a quelli dichiarativi;
frequente variazione della ubicazione della sede legale;
limitata vita della società e sostituzione con altra avente analoghe caratteristiche (cfr., sugli elementi sintomatici di cui sopra, le seguenti pronunce, non a caso tutte derivanti dalle risultanze amministrative, Cass. civ., n. 21306/22; Cass. civ., n. 5059/2022; Cass. civ., n.12303/2021 e Cass. civ., n. 31816/2021, quest'ultima interessante anche per aver dato rilievo ad un elemento molto particolare e cioè che la cassetta postale della società fosse stracolma di corrispondenza).
Le difese possibili si debbono pertanto concentrare sulla inidoneità probatoria dell'accusa formulata dal P.M. con particolare riguardo alle situazioni sopra indicate al fine di confutarle puntualmente. Ovvio che la difesa dovrà concentrarsi anche sulla dimostrazione che le fatture emesse riguardano operazioni effettivamente esistenti. Trattandosi anche in questo caso di un delitto punibile a titolo di dolo specifico un'ulteriore difesa potrà riguardare l'insussistenza dell'elemento psicologico richiesto.
Infine, a dimostrazione di quanto riferito in tema di complessità della difesa, vale la pena di aggiungere che tra le cause di non punibilità previste dall'art. 13, sia al comma 1, che al comma 2, nessuna è applicabile al delitto di emissione di fatture false.
L'utilizzo e le criticità applicative degli strumenti (utili ai fini difensivi) previsti dall'art. 13 d.lgs. n. 74/2000
Considerato quanto sopra circa le criticità delle difese nel caso di contestazioni penali tributarie e tenuto conto delle problematiche, non di poco rilievo, derivanti dall'utilizzabilità in sede penale di elementi probatori acquisiti nella fase di accertamento e quindi in via amministrativa, non v'è dubbio che, dal punto di vista difensivo, la causa di non punibilità per il pagamento del debito tributario prevista dall'art. 13 e anche le circostanze attenuanti ad effetto speciale e il patteggiamento previsti dall'art. 13-bis, sono di interesse seppur minore per la difesa. L'attuale formulazione dell'art.13 d.lgs. n. 74/2000 risente di due interventi legislativi: il primo attuato con il d.lgs. n. 157/2015 ed il secondo con la legge n. 157/19. Più che una causa di non punibilità sembrerebbe essere una causa estintiva del reato tenuto conto che nel caso di cui trattasi è il successivo pagamento del tributo, degli interessi e delle sanzioni che fa venir meno la pretesa punitiva dello Stato.
Si parla anche di causa estintiva speciale e condizionata:
speciale perché riferibile solo a determinate fattispecie delittuose (non poche sono quelle escluse);
condizionata perché presuppone la condotta risarcitoria che peraltro, come vedremo, in alcune ipotesi deve essere addirittura spontanea.
La norma di cui trattasi prevede la non punibilità per due distinte categorie di reati tributari: i reati di omesso versamento e quelli cosiddetti dichiarativi.
Il comma 1 disciplina la non punibilità dei reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis (omesso versamento di ritenute), 10-ter (omesso versamento Iva) e per il reato di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater.
Per avvalersi della causa l'interessato dovrà: a.pagare integralmente il debito tributario, comprensivo di sanzioni e interessi; b. lo dovrà fare prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado; c. lo potrà fare anche a seguito di speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.
Siccome la norma non richiede espressamente che il pagamento pervenga all'Erario dal soggetto che intende avvalersi della causa di non punibilità, si deve ritenere ammissibile anche l'estinzione del debito tributario e degli accessori mediante saldo del dovuto da parte del terzo. Il pagamento deve avvenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
È opportuno ricordare che ciò può avvenire anche a seguito delle procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché di ravvedimento operoso.
Le procedure conciliative e di adesione che consentono di sanare la vertenza con l'Erario sono:
il ravvedimento operoso, peraltro espressamente indicato dal legislatore penal-tributario (disciplinato dall'art. 13 d.lgs. n. 472/97, così come novellato dall'art. 16, comma 1, lett. f,d.lgs. n. 158/2015);
l'accertamento con adesione (disciplinato dagli artt. 1-19 d.lgs. n. 218/1997);
la conciliazione giudiziale (disciplinata dall'art. 48 d.lgs. n. 546/1991);
la rinuncia all'impugnazione dell'avviso di accertamento o di liquidazione (disciplinata dall'art. 15 d.lgs. n. 218/97).
La formula aperta utilizzata dal legislatore per indicare gli istituti premiali di natura tributaria consente l'adattamento automatico della norma ad eventuali nuovi istituti similari di futura introduzione e ciò è un dato da considerare anche alla luce di futuri provvedimenti che potrebbero essere favorevolmente usufruiti dall'indagato (o dall'imputato).
Il comma 2 prevede invece la non punibilità dei reati dichiarativi di cui agli artt. 2(dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti)e 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) 4(dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione), a seguito del pagamento del debito tributario: in pratica, con la novella del2019 che ha esteso la non punibilità alle dichiarazioni fraudolente, tutti i reati dichiarativi possono, in astratto, essere sanati.
Per questo secondo gruppo di reati l'imputato per avvalersi della causa di non punibilità dovrà: pagare integralmente il debito tributario, comprensivo di sanzioni e interessi; che tale pagamento sia avvenuto a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo; e sempreché tale ravvedimento e tale presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Inoltre, alla luce del maggior disvalore riconosciuto ai delitti di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, la forbice temporale entro cui beneficiare della causa di estinzione del reato è molto ristretta, rispetto a quanto previsto nel primo comma dell'art. 13, ovvero l'estinzione deve avvenire:
a seguito di ravvedimento operoso (disciplinato dall'art. 13 d.lgs. n. 472/97, così come novellato dall'art. 16, comma 1, lett. f, d.lgs. n. 158/2015);
a seguito di regolarizzazione della dichiarazione omessa e quindi la norma penale sembrerebbe richiamare quanto già espressamente previsto nel d.p.r. n. 322/1998.
Ai sensi dell'art. 2, comma 8-bis, d.p.r. n. 322/1998, infatti, «le dichiarazioni dei redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare […] non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo. L'eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997». In tema di imposte sui redditi, dunque, il contribuente è titolare della generale facoltà di emendare i propri errori mediante apposita dichiarazione integrativa entro il termine ultimo prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo. Nella relazione illustrativa di accompagnamento al d.lgs. n. 158/2015, si precisa come nei casi come quelli indicati si sia in presenza «di situazioni nelle quali la spontaneità della resipiscenza del contribuente, in uno con l'estinzione tempestiva dei debiti, giustifica senza bisogno di ulteriori sanzioni amministrative la rinuncia alla pena da parte dello Stato».
In tali casi, infatti, a differenza di quanto previsto nel primo comma della norma in esame per i reati omissivi, l'istituto è applicabile se la condotta risarcitoria rappresenta atto di resipiscenza volontario e spontaneo. In altri termini il contribuente deve decidere in modo autonomo di pagare e rimediare alla infedeltà della dichiarazione e naturalmente ciò accade solo se la violazione non sia stata ancora contestata e, ancora prima, se non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza. Pertanto, al requisito della spontaneità deve accompagnarsi l'estinzione tempestiva del debito.
Solo attraverso queste due condizioni viene a giustificarsi l'irrilevanza penale. Con riferimento alle dichiarazioni mediante frode (artt. 2 e 3) si registrano pronunce di merito nelle quali si afferma il principio secondo il quale non sussiste alcuna preclusione all'applicazione della causa di non punibilità con riferimento alla data di conoscenza del procedimento penale in data anteriore alla procedura estintiva (cfr., con riferimento all'art. 2,Tribunale Ordinario di Milano, sez. III penale, sent. n. 10446/20 e anche Tribunale di Reggio Emilia, Sez. Pen., sent. n. 866/20, mentre per l'art. 3, Tribunale di Parma, sent. n. 817/22). Le suddette pronunce di merito sono estremamente importanti e anche molto significative, tuttavia, alla luce del chiaro disposto normativo, il principio affermato delle medesime non pare coerente all'intenzione del legislatore. E' vero peraltro, come ben rilevato dall'Ufficio del Massimario, Settore Penale, della Corte d iCassazione, sempre attraverso la già citata relazione n. III/05/2015 (a quel momento si potevano estinguere soltanto i reati di cui all'art. 4 e all'art. 5), per i reati dichiarativi per i quali è prevista la causa di estinzione deve osservarsi che, sul piano pratico, sarà assai improbabile una significativa applicazione dell'istituto potendo sin d'ora pronosticare, come assai difficili, comportamenti di ravvedimento che non siano in qualche modo sollecitati dalla conoscenza di accertamenti in corso. A ciò si aggiunga che sempre nell'ottica di favorire la definizione degli omessi versamenti secondo logiche diverse dalla mera repressione, l'ultimo comma del nuovo art. 13 prevede, in caso di estinzione del debito tributario mediante rateizzazione ancora non perfezionata prima dell'apertura del dibattimento, la concessione di un termine di 3 mesi per consentire il pagamento del residuo debito tributario. Tale termine è prorogabile una sola volta per ulteriori 3 mesi. Nel corso del termine concesso per l'estinzione integrale del debito la prescrizione è sospesa. Così come formulata la norma non pare riconoscere alcun potere discrezionale al giudice circa la concessione o meno dei primi tre mesi utili a terminare il pagamento rateale del debito, diversamente da quanto previsto per l'eventuale proroga di ulteriori tre mesi, lasciata alla facoltà e valutazione del giudicante. Le difese riconducibili all'art. 13-bis:l'attenuante ad effetto speciale ed il patteggiamento L'art. 13-bis impone una ulteriore riflessione ai fini difensivi e ciò per due ragioni: innanzitutto perché se i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, siano estinti anche mediante integrale pagamento degli importi dovuti a seguito di speciali procedure conciliative e di adesione, comportano il riconoscimento di un'attenuante ad effetto speciale con diminuzione della pena fino alla metà e non applicazione delle pene accessorie; in secondo luogo perché la disposizione prevede, al comma 2, il patteggiamento anche se le condizioni per poter accedere a tale rito speciale sono più severe rispetto a quanto previsto dall'art. 444 c.p.p.
Esiste un evidente legame tra l'articolo in commento e quello che disciplina la causa di non punibilità.
In effetti, a dimostrazione della cosiddetta ragione erariale che contraddistingue la politica penal-tributaria, entrambe le norme sono caratterizzate dal fatto che la causa di non punibilità, la circostanza attenuante e il patteggiamento, sono correlate al pagamento del debito tributario, delle sanzioni e degli interessi.
Vi è un'ulteriore considerazione da fare.
La riforma dell'art. 13, soprattutto quella intervenuta nel 2019, influisce indirettamente sull'accesso al patteggiamento. Prova ne sia che l'applicazione della pena su richiesta delle parti è esclusa in riferimento alle ipotesi in cui, ai sensi e per gli effetti dei commi 1 e 2 dell'art. 13, il pagamento del debito tributario determina la non punibilità del fatto. Ne consegue che laddove tale circostanza si verifichi e costituisca, quindi, causa di non punibilità dei delitti di omesso versamento (artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater), e di quelli dichiarativi (artt. 2, 3, 4 e 5) non può al contempo costituire presupposto di legittimità per l'applicazione della pena su richiesta delle parti e ciò per il semplice ed evidente motivo che il patteggiamento non può certo riguardare reati non punibili.
Occorre inoltre, sempre con riferimento ai presupposti, diversi, delle cause di non punibilità, effettuare un ulteriore distinzione per tipologia di fattispecie criminose:
per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, il pagamento integrale del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento, senza distinzioni di sorta sul momento in cui ciò avviene, esclude a priori l'applicabilità del rito speciale di cui all'art. 444 e ss. c.p.p. in quanto comporta la non punibilità del fatto;
per i reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, il rito speciale previsto dall'art. 444 e ss. c.p.p. è ammissibile solo quando vi sia stato l'integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ma dopo la formale conoscenza, da parte dell'autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali ed in questo caso vi sarà anche applicazione della circostanza attenuante ad effetto speciale.
Un'ulteriore riflessione, sempre con riferimento al patteggiamento, riguarda quei reati tributari per i quali non è prevista la causa di non punibilità. Mi riferisco alle fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 8, 10 e 11, ovverosia ai delitti per i quali il patteggiamento è sempre subordinato al pagamento del debito tributario laddove, tuttavia, alla condotta criminosa consegua la formazione di un debito tributario per il soggetto agente suscettibile di essere adempiuto. È una distinzione importante e da tener presente: se è vero, infatti, che i reati dichiarativi e di omesso versamento generano senz'altro evasione d'imposta in quanto quest'ultima è riconducibile alla condotta criminosa tipizzata, è altresì vero che per il reato di emissione d ifatture per operazioni inesistenti (art. 8), di occultamento e distruzione di documenti contabili(art. 10), possono sussistere casi in cui non vi è evasione alcuna. Prova ne sia che recentemente, in relazione proprio al delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall'art. 10 d.lgs. n. 74/2000, la Suprema Corte ha affermato che l'estinzione del debito tributario non costituisce presupposto di legittimità per l'applicazione della pena in quanto tale reato non genera un danno per l'Erario (cfr. Cass. pen., sez. III, n.41133/19). La dimostrazione dell'assenza del danno erariale è quindi estremamente importante e rappresenta uno spunto assai interessante dal punto di vista difensivo: per i reati che non generano erariale se lo stato degli atti non consente al difensore scelte diverse dal patteggiamento quest'ultimo potrà essere chiesto insistendo per non versare alcunché. Si pensi, infatti, che in altra occasione la Suprema Corte è arrivata ad affermare il medesimo principio anche con riguardo al reato di infedeltà dichiarativa e a quello di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, ammettendo quindi il patteggiamento anche senza l'estinzione del debito tributario (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 48029/19). A dire il vero quest'ultima decisione non convince non foss'altro perché la norma di cui trattasi e cioè l'art. 13-bis, comma 2, prevede, quale presupposto imprescindibile, il pagamento del debito tributario e degli accessori. Non è quindi sorprendente che l'orientamento sia rimasto isolato e che, successivamente, la Suprema Corte sia tornata sull'argomento ponendo nuovamente al centro della richiesta di patteggiamento il pagamento del debito tributario e con un ragionamento articolato che riguardava proprio i meccanismi esplicativi, è giunta alla, condivisibile, conclusione che la disposizione in commento (art. 13-bis, comma 2) non lascia dubbio alcuno circa la volontà del nostro legislatore di precludere l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. al contribuente che non abbia provveduto ad estinguere il debito tributario (cfr. Cass. pen., sez. III, 26529/20). Riflessioni brevi sulle future scelte di politica criminale a favore dell'erario: il condono penale tributario? Abbiamo già evidenziato che gli strumenti difensivi, senza dubbio utili, previsti dai citati art. 13e 13-bis d.lgs. n. 74/2000, sono caratterizzati dall'essere esperibili a condizione che sia avvenuto il pagamento del debito tributario e degli accessori. Da giorni si sente parlare, e si legge, di un possibile condono penale tributario che consentirebbe ai contribuenti indagati (o imputati) di estinguere il reato contestato mediante il versamento del dovuto. È una scelta sulla quale riflettere salvo valutare, in concreto, quali saranno le condizioni di ammissibilità e quali ipotesi di reato potranno sanarsi.
Il potere di predisporre un simile condono rientra nelle scelte discrezionali del legislatore e d'altra parte, lo abbiamo detto in precedenza, la stessa formulazione dell'art. 13 è aperta a soluzioni di questo tipo.
Due sono le conseguenze che possono trarsi se vi sarà davvero il condono penale tributario:
la prima riguarda il sicuro aumento del gettito erariale;
la seconda concerne la prevedibile diminuzione delle pendenze penali tributarie che rappresentano un carico davvero notevole.
A taluni la scelta probabilmente piacerà, ad altri meno, ma se è vero che, come ci ricorda Voltaire, non tutti gli uomini hanno abbastanza giudizio per fare buone leggi, la riflessione deve riguardare non solo e non tanto il condono che forse verrà, ma anche le precedenti leggi penal-tributarie molto discutibili e spesso mal fatte.
Prof. avv. Gianluca Gambogi, Ordinario Diritto Internazionale Università di Milano, avvocato tributarista cassazionista