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Il rappresentante doganale indiretto risponde per l’IVA all’importazione solo se previsto da norme nazionali

Avv. Clino De Ieso

Iva e Dogane

Riferimenti

Corte giustizia Unione Europea Sez. VI, 12 maggio 2022, n. 714 Corte giustizia Unione Europea Sez. VI, 12 maggio 2022, n. 714 Reg. (CE) 09-10-2013, n. 952/2013, Articolo 77 - Immissione in libera pratica e ammissione temporanea Dir. 28-11-2006, n. 2006/112/CE, Articolo 201

Con la sentenza in causa C-714/20 del 2022, la Corte di Giustizia è intervenuta sulla specifica e complessa problematica dei soggetti chiamati ad assolvere l’IVA all’importazione. La Corte, pur osservando che la responsabilità del rappresentante indiretto non può essere giustificata dal mero rinvio alle norme del Codice Doganale, in quanto non richiamate dall’art. 201 della Direttiva 2006/112/CE, non esclude a priori un possibile recepimento di quest’ultima disposizione attraverso una lettura coordinata delle disposizioni interne esistenti. Si tratta di un’opzione interpretativa che, in linea teorica, potrebbe consentire di superare le criticità, denunciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che ostacolano l’applicazione della disciplina del T.U.L.D. all’IVA all’importazione anche in relazione all’individuazione dei soggetti responsabili per il mancato pagamento del tributo.

Il rappresentante indiretto è il debitore principale o coobbligato al pagamento dell’IVA in dogana?

La sentenza della Corte di Giustizia in commento, che merita sostanziale adesione, può rappresentare una sorta di “anno zero” da cui ripartire per individuare i soggetti chiamati ad assolvere l’IVA all’importazione. È noto a tutti che su questa tematica l’incertezza regna sovrana. Basti pensare al protrarsi del conflitto nella giurisprudenza nazionale, aggravato dall’immobilismo legislativo, sulla applicabilità agli effetti dell’IVA della c.d. solidarietà doganale. Ne è seguito un dibattito molto stimolante in dottrina fra coloro che individuano nel soggetto passivo dell’IVA - in specie, il destinatario dei beni oggetto di importazione - il debitore principale dell’imposta dovuta in dogana a cui sarebbe possibile aggiungere altri soggetti coobbligati in via solidale. A corollario di ciò, in assenza di una norma nazionale che identifichi espressamente i debitori diversi dall’importatore, lo spedizioniere - ancorché agisca in nome proprio e per conto del rappresentato - non potrebbe essere chiamato dall’ente impositore a versare l’IVA in dogana non assolta dall’importatore. Per altri Autori, invece, il riferimento alla nozione di soggetto passivo appare inconferente in quanto l’IVA all’importazione si applica indipendentemente dalla qualifica del soggetto che la realizza e, conseguentemente, il rapporto tributario si instaurerebbe nei confronti del soggetto che (i) presenta in dogana la dichiarazione di importazione, ovvero (ii) detiene la merce nel caso di introduzione irregolare che, di volta in volta, assume la qualifica di debitore d’imposta. L’IVA, infatti, “si applica” alle “importazioni da chiunque effettuate”. Sicché, la scelta del pronome indefinito “chiunque”, insieme alle evidenti affinità e convergenze ai fini della applicazione e riscossione dei dazi e dell’IVA, potrebbe aprire la strada all’applicazione dello schema doganale all’IVA tramite una lettura unionalmente orientata delle disposizioni del T.U.L.D al fine di espandere i loro effetti a tutti i tributi applicabili all’importazione, compresa l’IVA in dogana. Pertanto, l’obbligato principale dovrebbe essere individuato in colui che presenta la dichiarazione di importazione in nome proprio e per conto del destinatario dei beni. Con un riflesso sistematico che, per eliminare qualsiasi incertezza circa l’individuazione del soggetto passivo dell’IVA all’importazione, implicherebbe una inversione di ruoli fra il rappresentato (destinatario) e il rappresentante (spedizioniere), nel senso che sarebbe quest’ultimo, in quanto dichiarante, il debitore principale nei confronti dell’Autorità fiscale, mentre il destinatario assumerebbe il ruolo di coobbligato. Fermo restando che il rappresentante (spedizioniere) in buona fede resterebbe, in ogni caso, esonerato dal pagamento dell’imposta nell’ipotesi di condotte fraudolente realizzate dagli altri soggetti coinvolti nell’operazione.

Lettura restrittiva o estensiva delle disposizioni doganali

Le due teorie sopra prospettate sono state analizzate e sviluppate dalla giurisprudenza, che è ancora divisa sul tema Un primo orientamento, sostenuto dai giudici di merito, è a favore di una lettura restrittiva del campo di applicazione delle norme in materia doganale. Queste, per trovare cittadinanza nel sistema IVA, avrebbero bisogno di una esplicita norma di raccordo senza la quale non sarebbe possibile attribuire la qualifica di debitore dell’IVA ai soggetti diversi dal destinatario dei beni. Peraltro, con specifico riferimento all’ipotesi di accertata falsità delle dichiarazioni di intento, la Cassazione aveva trovato un ulteriore ostacolo normativo all’esistenza di un obbligo di pagamento dell’IVA in capo al rappresentante indiretto. Si tratta, in particolare, dell’art. “8, comma 3 Legge n. 213/2000 (…) - norma di interpretazione autentica [dell’art. 2, comma 1 del D.L. 746/1983] e, quindi, con efficacia retroattiva - il quale esclude espressamente che lo spedizioniere doganale possa essere responsabile per il pagamento dell’IVA a fronte di una dichiarazione d’intento da lui presentata in dogana, essendo responsabili soltanto coloro che tale dichiarazione abbiano sottoscritto”. Tesi che, però, è stata abbandonata dalla Suprema Corte secondo cui “l’obbligazione IVA della quale la società” (spedizioniere) “è chiamata a rispondere in via solidale deriva (...) dall’importazione e non dalla dichiarazione di intenti”. Più chiaramente, osserva la Cassazione, tale obbligazione “ha ad oggetto un diritto che rientra a pieno titolo tra gli oneri doganali (se non anche tra i diritti di confine), che deve essere accertato e riscosso nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo, costituito dall’importazione, mentre la sospensione d’imposta, di cui al citato art. 8, non riguarda la sussistenza del debito IVA (o la sua responsabilità) poiché attiene esclusivamente alla sua esecutività (ossia alla possibilità di essere soddisfatta mediante compensazione)” Queste parole costituiscono il manifesto del secondo orientamento, che tende ad allargare il raggio d’azione dello schema doganale al fine di individuare i soggetti responsabili dell’IVA all’importazione. L’approdo è meritevole di attenzione in quanto si prefigge due obiettivi. Uno è riconoscere la rilevanza degli aspetti della realtà commerciale, fra cui la circostanza “che è lo stesso dichiarante in dogana che assume un diretto impegno al pagamento dei dazi e degli altri oneri doganali (...) e che, anzi, in caso di rappresentanza indiretta, [lo spedizioniere dichiarante] adempie personalmente ed integralmente alle obbligazioni sorte con l’importazione”. L’altro, offrire sul piano giuridico una interpretazione coordinata delle disposizioni nazionali per costruire un ponte di collegamento fra i dazi e l’IVA all’importazione. In tale prospettiva, il fattore determinante che consente un raccordo fra le due imposte indirette è rinvenibile nella loro appartenenza alla categoria degli oneri doganali accertati e riscossi secondo le modalità previste dalla legge IVA e dal T.U.L.D. Ciò che conta, seguendo questo ragionamento, non è la natura dell’IVA in dogana - tributo interno non sovrapponibile ai dazi - bensì l’insorgenza del fatto generatore e dell’esigibilità dell’IVA in dogana che, in alcune ipotesi, può coincidere con quella dai dazi. Tant’è che l’art. 71, par. 2 della Direttiva 2006/112/CE stabilisce che “quando i beni importati sono assoggettati a dazi doganali, (...) il fatto generatore dell’imposta”, cioè, dell’IVA all’importazione, “si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui scattano il fatto generatore e l’esigibilità dei predetti dazi o prelievi”. Qui si innesta l’art. 201 della medesima Direttiva, il quale amplia i soggetti obbligati al pagamento dell’IVA in dogana. “A tali disposizioni”, osserva la Cassazione, “si raccordano, da un lato, il T.U.L.D., art. 34, secondo cui ‘Si considerano ‘diritti doganali’ tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali (...) e, dall’altro, il T.U.L.D., art. 38, il cui riferimento letterale al proprietario della merce (‘Al pagamento dell’imposta doganale sono obbligati il proprietario della merce, a norma dell’art. 56, e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata’) va inteso in riferimento al cit. T.U.L.D., art. 56, e, soprattutto, all’art. 64 c.d.c, secondo cui ‘la dichiarazione in dogana può essere fatta da chiunque sia in grado di presentare o di far presentare al servizio doganale competente la relativa merce ...’. È evidente che dietro il richiamo della Cassazione alle disposizioni del T.U.L.D. vi sia l’esigenza, ben comprensibile, di agevolare le attività di controllo e di riscossione dei tributi in dogana. Ecco perché il Codice Doganale dell’Unione si basa sull’idea dominante che è il soggetto dichiarante il debitore dell’obbligazione tributaria. Si tratta di un’idea che non è “inquinata” dal concetto civilistico di rappresentanza, che attribuisce un ruolo primario al rappresentato rispetto a quello secondario del rappresentante. La priorità del legislatore italiano è, dunque, sovvertita dalla normativa doganale europea che, per ragioni di speditezza e semplificazione degli scambi commerciali, individua l’obbligato principale adottando un criterio oggettivo (presentazione della dichiarazione) slegato da una ricerca - che richiederebbe tempi incompatibili con le esigenze degli operatori - sugli interessi economici e giuridici sottostanti all’importazione. È, allora, logico che in materia di dazi possa accadere che l’obbligato principale sia il rappresentante indiretto, mentre il proprietario delle merci - che ha un interesse sostanziale all’operazione - possa essere chiamato dal Fisco quale coobbligato in aggiunta al rappresentante. Del resto, quando il destinatario dei beni non interviene direttamente nell’operazione doganale, la sua qualifica di debitore cambia a seconda che agisca tramite uno spedizioniere con rappresentanza diretta o indiretta. Nel primo caso, il debitore di imposta è il destinatario dei beni qualificabile, dunque, come il debitore principale poiché lo spedizioniere, con rappresentanza diretta, effettua gli adempimenti in nome e per conto del rappresentato. Diversamente, cioè, nella rappresentanza indiretta, l’obbligato principale è lo spedizioniere in quanto è quest’ultimo che presenta la dichiarazione in dogana in nome proprio, seppur per conto dell’importatore.

Le domande pregiudiziali e le risposte della Corte di Giustizia

Non sfugge, ovviamente, che la tesi secondo cui lo schema di riscossione dei dazi sia applicabile all’IVA in dogana potrebbe avere un punto debole, cioè la difficoltà ad individuare la fonte normativa italiana che, nel recepire l’art. 201 della Direttiva, abbia stabilito che il debitore dell’IVA sia il dichiarante e, quindi, nel caso di rappresentanza indiretta, lo spedizioniere. L’elemento di criticità potrebbe, pertanto, ravvisarsi nell’eventuale vuoto legislativo nazionale riguardo all’indicazione dei soggetti debitori chiamati al pagamento dell’IVA. Ed è il profilo su cui si regge la difesa dello spedizioniere nella causa sottostante alla sentenza in commento. La vicenda trae origine dal disconoscimento, da parte dell’Agenzia delle dogane di Venezia, della qualifica di esportatore abituale a due società importatrici. Con la conseguente rettifica delle dichiarazioni, da cui discende la liquidazione di una maggiore IVA atteso che alle importazioni viene negato il beneficio del regime di non imponibilità. In questa situazione l’ente impositore, aderendo all’orientamento estensivo della Cassazione, ha ritenuto applicabili le norme doganali che prevedono una pluralità di debitori e, per tale motivo, ha richiesto il pagamento dell’IVA allo spedizioniere: avendo quest’ultimo, quale rappresentante indiretto, effettuato le operazioni doganali e, al contempo, presentato la dichiarazione in nome proprio e per conto delle società importatrici. Lo spedizioniere si è opposto alla pretesa erariale, con ricorsi proposti innanzi alla Commissione tributaria provinciale. La parte contribuente, facendo leva sulla giurisprudenza di merito che propende per una interpretazione più restrittiva delle disposizioni doganali, ha osservato che “nell’ordinamento giuridico italiano, nessuna disposizione prevedeva la responsabilità del rappresentante doganale indiretto in solido con la società importatrice per il pagamento dell’IVA all’importazione e che il riconoscimento di una siffatta responsabilità solidale disattenderebbe l’art. 201 della Direttiva IVA” (punto 25). Da qui, nascono i dubbi della Commissione tributaria provinciale sull’effettivo recepimento dell’art. 201 della Direttiva e, ove esso sia avvenuto, sul soggetto che rivesta il ruolo di debitore dell’imposta in via principale. Per tentare di dare una risposta a questi interrogativi, il giudice nazionale ha posto alla Corte di Giustizia le due domande pregiudiziali che, a ben vedere, risultano specifiche e circostanziate. In una, è stato chiesto se il dichiarante possa essere considerato debitore anche ai fini dell’IVA in forza del solo art. 77, paragrafo 3 del Codice Doganale dell’Unione. Nell’altra, se l’art. 201 della Direttiva debba essere recepito con “la emissione di una norma statuale in materia di IVA all’importazione (...) che individui espressamente i soggetti obbligati al relativo versamento” (punto 31). Le risposte dei giudici di Lussemburgo ai quesiti sono state altrettanto puntuali e circostanziate. In primo luogo, la Corte ha stabilito che l’art. 201 della Direttiva non opera alcun rinvio alle norme del Codice Doganale e, quindi, la responsabilità del rappresentante indiretto ai fini IVA non può essere giustificata applicando, in via esclusiva, l’art. 77, par. 3 del Codice Doganale. Sicché, “in base a tale sola disposizione, il rappresentante doganale indiretto è debitore unicamente dei dazi doganali dovuti per le merci che ha dichiarato in dogana e non anche dell’IVA all’importazione per le stesse merci” (punto 52). In secondo luogo, i giudici europei hanno affermato (punto 63) “che un’eventuale responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione prevista da uno Stato membro (...) deve essere stabilita, in modo esplicito e inequivocabile, da disposizioni nazionali siffatte”. Pertanto, (punto 65) “l’art. 201 della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che non può essere riconosciuta la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione, in solido con l’importatore, in assenza di disposizioni nazionali che lo designino o lo riconoscano, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore di tale imposta”.

Prospettive di superamento dell’impasse normativo e giurisprudenziale

La Corte di Giustizia, dopo aver risposto alle domande pregiudiziali, ha precisato che (punto 64) “nel caso di specie, spetta al giudice nazionale (...) valutare, alla luce di tutte le disposizioni del diritto italiano, se tali disposizioni e, in particolare, gli artt. 34 e 38 del Decreto n. 43/1973, l’art. 3, secondo comma, del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, (...) nonché gli artt. 1 e 70, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972, (...), o l’art. 2, primo comma, del D.L. n. 746/1983, (...) designino o riconoscano esplicitamente e inequivocabilmente il rappresentante doganale indiretto come debitore dell’IVA all’importazione”. Indubbiamente, è questa l’argomentazione più innovativa della sentenza che merita la massima attenzione degli interpreti. La Corte non esclude, a priori, un possibile recepimento dell’art. 201 della Direttiva attraverso una lettura coordinata delle disposizioni, in materia di dazi e IVA, già presenti nell’ordinamento italiano. Il compito affidato al giudice italiano è ben definito: valutare se l’art. 201 della Direttiva sia stato recepito, “in modo esplicito e inequivocabile”, dal legislatore nazionale e, in quest’ottica, verificare se vi sia lo spazio per offrire una lettura delle norme interne esistenti, fra cui l’art. 34 del T.U.L.D. che potrebbe rappresentare un precetto con una forza espansiva che estende la sua applicazione a tutte le imposte dovute all’importazione e, dunque, anche all’IVA in dogana. Un primo intervento della Cassazione si è dimostrato contrario a questa “particolare interpretazione delle disposizioni del diritto interno la quale, sebbene sicuramente plausibile sotto il profilo sistematico, non può dirsi del tutto coerente con i principi di certezza affermati dalla ricordata decisione della Corte di Giustizia”. Infatti, osserva la Suprema Corte, “non è rinvenibile (...) nell’ordinamento interno una norma espressa” che preveda la responsabilità del rappresentante indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione L’affermazione è corretta rispetto al dato letterale delle norme nazionali. Tuttavia, se si volesse assecondare una interpretazione unionalmente orientata delle medesime disposizioni si potrebbero superare le criticità, denunciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che ostacolano l’applicazione della disciplina del T.U.L.D. all’IVA all’importazione anche in relazione all’individuazione dei soggetti responsabili per il mancato pagamento del tributo. Del resto, accomunare le due discipline (dazi e IVA) significherebbe aderire ad una opzione interpretativa coerente con il sistema delle imposte indirette, il quale imporrebbe a colui che procede allo sdoganamento di fornire le garanzie per l’assolvimento dei tributi. Con l’importante precisazione che la condotta, in buona fede, del rappresentante indiretto precluderebbe all’ente impositore la possibilità di richiedere al medesimo rappresentante l’assolvimento dell’IVA all’importazione. Viceversa, ammettere una responsabilità oggettiva - cioè, “senza limiti” - dello spedizioniere per l’IVA in dogana rappresenterebbe un unicum nel panorama normativo fiscale italiano ed europeo. Tanto è vero che, in ambito IVA, l’operatore economico in buona fede viene esonerato dal pagamento dell’imposta indipendentemente dal suo coinvolgimento nella frode commessa da altri soggetti. Analogamente, il Codice Doganale dell’Unione - cioè, un settore a stretto contatto con le accise e l’IVA all’importazione - non consente il recupero degli importi per i dazi qualora l’errore dell’Autorità doganale non possa essere ragionevolmente scoperto dal debitore. Ebbene, alla luce di ciò, le questioni intorno ai confini della responsabilità del rappresentante indiretto devono essere affrontate e risolte anche alla luce dei principi del legittimo affidamento e di proporzionalità riconosciuti, peraltro, in materia di accise. In quest’ottica, ritornando alla sentenza in commento, è comunque ipotizzabile l’esonero dal pagamento dell’IVA in dogana per lo spedizioniere che non “sapeva” o non “avrebbe dovuto sapere” della dichiarazione mendace di esportatore abituale rilasciata dalle società importatrici.

Reviviscenza dell’esonero degli spedizionieri per la dichiarazione di intento falsa?

Come si è accennato, nell’ordinamento nazionale è presente, da oltre venti anni, una norma di interpretazione autentica (art. 8, comma 3, Legge n. 213/2000) che esclude la responsabilità dello “spedizioniere doganale” dall’omesso pagamento dell’IVA “a fronte di dichiarazione di intento presentata in dogana”. Tuttavia, la recente giurisprudenza della Cassazione è pressoché costante nel restringere i confini applicativi dell’esonero al solo rappresentante diretto estromettendole operazioni doganali del rappresentante indiretto: altrimenti, cioè, laddove quest’ultimo non fosse ritenuto debitore dell’IVA, sarebbero violate le disposizioni del Codice Doganale dell’Unione che definiscono i soggetti debitori dell’obbligazione doganale. Tale approdo potrebbe essere rimeditato alla luce della sentenza in commento, la quale ha confermato la centralità dell’art. 201 della Direttiva che concede al legislatore nazionale una libertà di manovra nella scelta e individuazione dei soggetti debitori dell’IVA indipendentemente dalla disciplina doganale. In uno scenario di questo tipo, sarebbe possibile una rivalutazione dell’art. 8, comma 3 citato tenuto conto che esso è perfettamente compatibile con l’art. 201 della Direttiva, cioè, l’unico vero parametro normativo che, a livello europeo, consente di includere o escludere gli operatori economici dalla figura del debitore dell’IVA in dogana.

Considerazioni conclusive

Nessuno può dubitare che la Corte di Giustizia ritenga compatibile, in presenza di determinate condizioni, una responsabilità del rappresentante indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione. Certo, le risposte della Corte non sono risolutive in quanto l’interpretazione delle norme nazionali spetta al giudice italiano. Occorre, pertanto, attendere l’intervento chiarificatore della Cassazione che, come sopra evidenziato, ha già tentato di teorizzare un coordinamento fra le disposizioni nazionali indicate dai giudici europei. L’ideale, nell’attuale stagione di riforme fiscali, sarebbe un intervento legislativo che, una volta per tutte, offra una regolamentazione per le obbligazioni che nascono all’atto dell’importazione. Purtroppo, il testo della delega fiscale predisposto per dare attuazione al PNRR è assai deludente perché, ai fini IVA, prevede degli interventi marginali che si esauriscono in alcune modifiche alla disciplina delle aliquote. Si rischia, così, di perdere un’altra occasione per riordinare alcuni settori della disciplina IVA al fine di eliminare quelle situazioni giuridiche - come, per l’appunto, il coordinamento fra i dazi e l’IVA in dogana - sulle quali permane un continuo stato di incertezza dovuto a disposizioni pensate e scritte per una realtà economica da tempo superata. Del resto, l’IVA è nata per semplificare gli scambi fra gli operatori economici e, quindi, per favorire la “crescita dell’economia” europea. Ed è il fondamentale obiettivo della delega fiscale, chenon potrà essere raggiunto fino a quando gli operatori si troveranno di fronte a norme vaghe, oscure e di difficile lettura persino dalla giurisprudenza. Pertanto, una iniziativa legislativa diretta ad apportare modifiche all’IVA in dogana dovrebbe ispirarsi a due criteri direttivi, vale a dire, garantire il recupero del gettito fiscale assicurando la massima efficacia dei controlli da parte dell’Autorità fiscale e, inoltre, salvaguardare gli spedizionieri doganali in buona fede che, a distanza di anni, potrebbero ritrovarsi a dover corrispondere al Fisco un’IVA irrecuperabile nei confronti dell’importatore diventato insolvente. È vero che gli spedizionieri hanno un interesse proprio all’importazione e che, pertanto, potrebbe essere giustificata una loro responsabilità solidale per il pagamento delle imposte dovute sull’importazione delle merci. Ma è, altrettanto, vero che tale responsabilità appare ragionevole se limitata al tributo liquidato dall’ente impositore sulla base del contenuto della dichiarazione. Mentre, sembra irragionevole estendere un obbligo di pagamento in capo al rappresentante indiretto a seguito di un controllo postumo dell’ente impositore che - come accaduto nella sentenza in commento - accerti la natura mendace della lettera di intento, ossia di un documento formato e rilasciato esclusivamente dall’importatore. Insomma, si tratterebbe di adottare uno schema, simile a quello previsto per i notai in materia di imposta di registro, che distingua fra l’imposta “principale” versata al momento della presentazione della dichiarazione, l’imposta “principale postuma” integrativamente richiesta dall’Agenzia delle dogane all’esito di un controllo a posteriori e, infine, l’imposta “supplettiva” dovuta a seguito di errori dell’ente impositore: limitando, fermo restando la buona fede dello spedizioniere, la responsabilità di quest’ultimo soltanto alla prima, cioè, all’imposta principale.

Fonte: GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 10, 1 ottobre 2022, p. 762

Avv. Clino De Ieso, Avvocato Tributarista cassazionista, Partner Studio Legale Tributario Centore

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