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Gli elementi costitutivi delle operazioni IVA in attesa della futura revisione

Avv. Clino De Ieso

Iva e Dogane

Riferimenti

Corte giustizia Unione Europea, 09 febbraio 2023, n. 713

Dir. 28-11-2006, n. 2006/112/CE, Articolo 2

D.P.R. 26-10-1972, n. 633, Art. 2 - Cessioni di beni

Nell’attesa della futura revisione dell’IVA, è utile approfondire come la giurisprudenza europea, con la sentenza in causa C-713/21 del 2023, interpreta, precisa e definisce il presupposto oggettivo concentrando l’attenzione sugli elementi costitutivi delle operazioni IVA. Il risultato che si intravede, in esito a tale percorso giurisprudenziale innovativo, è che la rilevanza IVA delle cessioni o servizi presupponga uno scambio fra una utilità (prestazione) e una determinata somma di denaro (controprestazione).

In particolare, l’utilità è trasferita da un soggetto passivo ad un altro soggetto tenuto per contratto o per legge a corrispondere una somma di denaro: condizione essenziale è che fra i due elementi (utilità-denaro) vi sia un nesso causale. Con l’importantissimo corollario secondo cui la fonte giuridica della prestazione, che non è necessariamente un elemento costitutivo delle operazioni IVA, bensì una spia dell’esistenza della medesima prestazione, non si esaurisce nelle clausole contrattuali, ben potendosi, al verificarsi di determinate circostanze, concretizzarsi nella legge.

La futura revisione dell’IVA

Fra i tanti fermenti che attraversano l’odierna stagione delle riforme, un posto di rilievo occupa la storia infinita della revisione della legge IVA italiana che, nel 50° anniversario dalla sua entrata in vigore, ha suscitato l’interesse del Governo che vorrebbe operare un profondo restyling dell’imposta sul valore aggiunto.

Apprezzabile è l’intento di “eliminare gli elementi di disallineamento presenti nella normativa nazionale rispetto alle definizioni recate dalla Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA), che sono emersi anche a seguito dei criteri elaborati dalla Corte di Giustizia”. Tuttavia, non va dimenticato che è lo stesso legislatore europeo a prevedere, in favore degli Stati membri, un margine di discrezionalità nel regolamentare alcuni istituti dell’IVA.

Si pensi, ad esempio, alle disposizioni della Direttiva in tema di esigibilità dell’imposta (art. 66), rettifica della base imponibile (art. 90), aliquote ridotte (art. 98) o pro-rata di detrazione (art. 173).

Per tutte queste fattispecie il legislatore italiano ha esercitato il potere discrezionale, ad esso attribuito dalla Direttiva, trovando in alcuni casi l’approvazione della Corte di Giustizia che, invece, ha ritenuto incompatibili le sanzioni calibrate sull’imposta accertata senza tenere conto dell’effettivo danno erariale.

Ecco perché la Corte costituzionale, offrendo una lettura congiunta dei commi 1 e 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 471/1997, ha sollecitato il legislatore a rimodulare i provvedimenti sanzionatori in sintonia con i “criteri indicati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione” invitando, al contempo, i giudici a “mitigare l’applicazione di sanzioni” sproporzionate mediante la “valvola di decompressione” dell’art. 7 citato, “anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo”.

Di centrale importanza è, quindi, il ruolo del giudice nazionale a cui è riconosciuto il potere di stabilire l’ammontare delle sanzioni in una misura proporzionata anche se inferiore al minimo edittale. Queste sintetiche considerazioni rendono evidente quanto sia complesso intervenire sulla disciplina IVA basandosi sui principi enunciati dalla Corte di Giustizia, che sono serventi e strumentali alla soluzione del caso concreto e, per tale motivo, privi di una visione d’insieme più ampia e di portata generale. Peraltro, una riforma dell’IVA attuata attraverso un richiamo cieco alle indicazioni dei giudici europei finirebbe con lo “svilire” la figura del legislatore italiano chiamato, in sede di recepimento della Direttiva, a custodire la “grande varietà di tradizioni culturali e di identità regionali nell’ambito dell’Unione”. Non a caso, la Direttiva richiede a ciascun Stato membro uno sforzo normativo necessario per il suo contesto nazionale capace di produrre un significativo impatto sul proprio tessuto sociale ed economico formato da fattori geografici, storici e culturali differenti fra gli Stati dell’Unione “e, talvolta, in seno ad uno stesso Stato membro”.

La Legge delega per la revisione dell’IVA si pone, altresì, l’obiettivo di modificare la “definizione del presupposto oggettivo dell’IVA”, rappresentato dalla cessione di beni. A questa proposta è sottesa una critica all’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972, che risentirebbe fortemente dell’impostazione civilistica “del nostro ordinamento” al punto da non valorizzare “il concetto economico sostanziale” “più fedele” alla Direttiva Sicché, in previsione dei futuri interventi legislativi, appare utile approfondire come la giurisprudenza europea interpreta, precisa e definisce il presupposto oggettivo concentrando l’attenzione sugli elementi costitutivi delle operazioni IVA.

Presupposti per la rilevanza IVA delle cessioni e prestazioni

La rilevanza oggettiva delle operazioni IVA presuppone uno scambio, fra due soggetti passivi, di una prestazione e una controprestazione. In senso generale la prestazione si può definire come una utilità, trasferita dal fornitore al cliente, in corrispondenza della quale quest’ultimo esegue verso il fornitore una controprestazione commisurata in denaro o, comunque, suscettibile di una valutazione economica. Ne consegue l’esigenza di individuare, mediante una valutazione graduata, l’esistenza o meno (i) di una utilità (prestazione); (ii) di una somma di denaro (controprestazione); (iii) del nesso diretto di collegamento reciproco fra l’utilità e il denaro. Per esemplificare e chiarire questo schema, che può apparire difficile e astratto, si può richiamare il caso Tolsma caratterizzato dalla offerta al pubblico di una utilità (attività musicale esercitata per una strada pubblica) e dall’esistenza di una somma di denaro che viene percepita dal suonatore ambulante (le somme offerte dai passanti).

Nonostante ciò, pur esistendo entrambi gli elementi costitutivi di una prestazione di servizi a titolo oneroso, essi non si combinano fra di loro in assenza di un nesso causale diretto che possa renderli interdipendenti l’uno dall’altro.

Conseguenza logica di questa ricostruzione è che la fonte giuridica della prestazione (utilità) non è necessariamente l’elemento costitutivo delle operazioni IVA, bensì una spia dell’esistenza della medesima prestazione come, del resto, sembra evincersi dalla giurisprudenza europea infra analizzata che tende a rimarcare l’importanza del fatto giuridico, anziché dell’atto giuridico. Aprendo, così, alla rilevanza IVA di tutte le fattispecie in cui lo scambio utilità/somme di denaro deriva non solo da un rapporto di natura obbligatoria negoziato fra le parti, ma anche dalla legge. Pertanto, potrebbe assumere rilevanza il rapporto che nasce dall’arricchimento senza giusta causa contraddistinto, com’è noto, da uno scambio reciproco fra una utilità (arricchimento) e una somma di denaro (indennizzo) Viceversa, gli importi erogati a titolo risarcitorio sono irrilevanti ai fini IVA in quanto non vi è il trasferimento di alcuna utilità, bensì il reintegro della perdita subita dal danneggiato. Coerentemente, sembra ragionevole ritenere che le operazioni illecite c.d. relative sono anch’esse in linea di principio rilevanti agli effetti dell’imposta siccome caratterizzate da uno scambio di utilità/denaro, ferma restando l’irrilevanza IVA dell’illecito assoluto per l’incongruenza sistematica delle attività non economiche, ossia, “fuori mercato”, che in nessun caso possono essere esercitate in modo lecito.

La sentenza Finanzamt X (C-713/21)

L’originalità della questione, affrontata dalla Corte di Giustizia con la sentenza in commento, sta nella richiesta del giudice nazionale di ottenere un chiarimento sulla sentenza Bastova riguardante la gestione di una scuderia di cavalli da corsa dalla quale il titolare della medesima scuderia percepisce “due tipi di redditi”, fra cui i “premi ottenuti grazie ai risultati dei propri cavalli nelle corse” (punto 14). Il vero punto controverso della causa Bastova è la qualificazione, agli effetti dell’IVA, delle somme ottenute dal proprietario dei cavalli nell’ambito di gare ippiche.

La Corte ha risposto - per quanto qui rileva - nel senso che “la messa a disposizione di un cavallo da parte del suo proprietario (...) all’organizzatore di una gara ippica per far partecipare il cavallo alla corsa, non costituisce una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso (...), nell’ipotesi in cui essa non comporti il versamento di un compenso per la partecipazione (...) e in cui solo i proprietari dei cavalli che si sono classificati in una posizione utile nella corsa ricevano un premio, ancorché determinato in anticipo” (punto 40).

È una risposta “ambivalente”, cioè, equivoca allorché la Corte, forse troppo preoccupata di risolvere il caso concreto, si è focalizzata sull’elemento dell’aleatorietà senza, però, specificare se l’alea sia collegata (i) al premio, che dunque non può essere qualificato come il corrispettivo per la prestazione resa dal proprietario del cavallo, oppure (ii) alla prestazione fornita dal medesimo proprietario (piazzamento del cavallo in una posizione utile) che risulta incerta, quindi, inesistente

Si è, pertanto, di fronte ad una contraddizione reale, restando oscuro se la Corte abbia ritenuto decisiva l’inesistenza del corrispettivo o della prestazione. È proprio questo il dubbio interpretativo esaminato dalla sentenza in commento. Difatti, a seconda della risposta cambia l’esito del giudizio che si dovrebbe concludere, in un caso (assenza del corrispettivo) con l’annullamento della ripresa a tassazione per mancanza di un elemento costitutivo dell’operazione IVA, nell’altro (assenza della prestazione) con la soccombenza del contribuente, posto che, a differenza del caso Bastova, è certa l’esistenza della prestazione fornita dal titolare della scuderia al proprietario del cavallo. Infatti, utilizzando i criteri retro indicati appare evidente che la Bastova non ha trasferito all’organizzatore della gara alcuna utilità e, dunque, non può esistere alcuna prestazione.

I fatti di causa e la risposta della Corte di Giustizia

La vicenda della sentenza in rassegna, apparentemente simile ma ben diversa nei fatti dalla causa Bastova, vede come protagonista un fantino che è il titolare di una scuderia di cavalli dei quali, però, non è il proprietario. Più in dettaglio, il titolare fornisce ai proprietari dei cavalli un servizio di base per la cura degli animali e, inoltre, un servizio autonomo consistente nel far partecipare determinati cavalli alle competizioni sportive i cui costi sono così suddivisi: i proprietari sostengono le spese per il mantenimento del cavallo, per le competizioni e il trasporto, nonché per il maniscalco e il veterinario, mentre restano a carico del fantino le spese da lui sostenute per la partecipazione alle gare come, per esempio, le spese di viaggio, volo, hotel, ristorazione. E siccome nelle competizioni ippiche i premi in denaro spettano unicamente al proprietario, è stato pattuito che quest’ultimo cedesse al fantino il 50% di tutti i futuri premi delle vincite in denaro vinti dal fantino per conto del proprietario. Tali premi, secondo l’ente impositore, sono soggetti ad IVA con aliquota standard in quanto il titolare della scuderia fornisce un unico servizio complesso (alloggio, addestramento e partecipazione dei cavalli alle competizioni) per il quale riceve dai proprietari, quale controprestazione, delle somme e la partecipazione per metà ai premi ottenuti dai cavalli durante le gare sportive.

La posizione dell’Autorità fiscale, sebbene sia stata accolta dal Tribunale di primo grado, non è priva di criticità. Alcune decisioni della Suprema Corte tedesca ritengono che la sentenza Bastova, il cui perimetro è circoscritto al solo rapporto fra l’organizzatore e il proprietario dei cavalli, sia applicabile anche a quello sottostante fra il proprietario e il titolare della scuderia. Se fosse così, osserva il giudice del rinvio, il primo rapporto (organizzatore-proprietario) si sostituirebbe al secondo (proprietario-titolare della scuderia) e, pertanto, in tal caso diventerebbe dirimente risolvere la domanda pregiudiziale posta sostanzialmente per chiedere alla Corte se le conclusioni della sentenza Bastova sono fondate sull’assenza del corrispettivo o della prestazione

A questa seconda linea interpretativa (mancanza della prestazione) ha aderito la decisione in rassegna, secondo cui nel caso di specie sussiste l’utilità, ossia, la prestazione (servizio unico complesso) a cui corrisponde una controprestazione in denaro (cessione di metà dei premi determinata in anticipo e secondo criteri oggettivamente prevedibili), entrambi legati da un nesso causale di reciprocità che non può essere spezzato dalla mancata vittoria o piazzamento utile del cavallo in una determinata gara sportiva. D’altronde, come evidenziato dalla Corte al punto 49, il corrispettivo di tutti i servizi forniti dal titolare della scuderia è costituito dal trasferimento per metà dei premi indipendentemente dal fatto che, nel contesto di una specifica corsa di cavalli, tale trasferimento possa dar luogo a vincite derivanti da un premio. Difatti, puntualizza la Corte, “I proprietari dei cavalli hanno quindi remunerato tutte le prestazioni fornite” dal titolare della scuderia “mediante tale cessione, che gli ha consentito di beneficiare del 50% del credito corrispondente alle plusvalenze derivanti dagli eventuali premi ottenuti. Pertanto, l’esistenza del summenzionato nesso diretto non è inficiata dal fatto che egli non sia riuscito, in quanto cavaliere, a sconfiggere un cavallo o a farlo classificare in una posizione utile in una determinata competizione”. Il che conduce al dispositivo della sentenza in commento: “costituisce una prestazione di servizi [ai fini IVA] effettuata a titolo oneroso, la prestazione unica fornita dal proprietario di una scuderia per l’allenamento di cavalli da competizione, consistente nella scuderizzazione e nell’allenamento dei cavalli nonché nella loro partecipazione a competizioni, qualora il proprietario dei cavalli retribuisca tale prestazione cedendo il 50% del credito corrispondente alle vincite provenienti dai premi di cui diviene titolare in caso di vittoria o di piazzamento in posizione utile dei suoi cavalli in una competizione”.

Quindi, ritornando all’interrogativo iniziale che sottende il quesito pregiudiziale, il faro illuminante della sentenza Bastova è l’assenza di una prestazione (utilità) che, tuttavia, sussiste nel caso della sentenza in rassegna essendo stata individuata dai giudici europei nel servizio complesso reso dal titolare della scuderia ai proprietari dei cavalli.

L’esistenza della prestazione (utilità) si esaurisce nel rapporto giuridico contrattuale?

La soluzione offerta nella decisione in commento è stata trovata all’interno dell’espressa pattuizione fra il proprietario del cavallo e il gestore della scuderia. Non deve, però, trarre in inganno il fatto che la Corte in molte decisioni ha dato rilievo all’importanza del contratto stipulato fra le parti. Si potrebbe cadere nell’errore di pensare che, in ogni caso, l’onerosità si esaurisca nel rapporto giuridico contrattuale. In realtà, i giudici europei non hanno ancora manifestato il proprio pensiero sulla “qualità” del rapporto giuridico che, come osservato dall’Avvocato Generale Kokott nelle Conclusioni del 12 gennaio 2023 relative alla causa C-677/21, “deve essere interpretato piuttosto estensivamente (...) nell’ambito di applicazione di un’imposta generale sui consumi. Non deve appunto trattarsi di un rapporto giuridico contrattuale ‘normale’; neanche un c.d. debito d’onore, infatti, ha potuto impedire il nesso tra la prestazione e il corrispettivo pagato ‘sull’onore’. Di conseguenza”, puntualizza l’Avvocato Generale, “è sufficiente un qualsivoglia rapporto giuridico tra il prestatore e il destinatario della prestazione. Si tratterà perlopiù di un rapporto giuridico contrattuale, un rapporto giuridico previsto per legge non è tuttavia escluso. Determinante è il nesso diretto tra il pagamento del denaro e un bene di consumo concreto”. La chiara argomentazione dell’Avvocato Generale si innesta su una fattispecie atipica, che trae origine da un consumo illegale di energia elettrica. Il gestore della rete, dopo avere scoperto che un utente ha prelevato l’energia nel periodo 2017-2019 senza aver stipulato alcun contratto, ha fatturato la fornitura (involontaria) al medesimo utente addebitandogli l’IVA che, invece, quest’ultimo vorrebbe “risparmiarsi” ritenendo l’operazione non imponibile. Mancherebbe, a suo dire, il nesso diretto fra la somma reclamata dal gestore e l’energia prelevata dallo stesso utente.

Da qui, il dubbio interpretativo: un consumo illegale di un bene, fornito oggettivamente e involontariamente all’utente, costituisce una cessione di beni a titolo oneroso assoggettabile ad IVA?

L’Avvocato Generale, per le ragioni sopra riportate, ha suggerito alla Corte una risposta affermativa considerando, fra l’altro, che sarebbe “difficilmente spiegabile (...) anche alla luce dell’art. 20 della Carta dei diritti fondamentali [che sancisce il principio di uguaglianza] perché al consumatore di energia elettrica onesto venga addebitata un’imposta che il consumatore di energia elettrica disonesto (illegale) non deve sostenere, sebbene esista un mercato comune per tali prestazioni ed entrambi impieghino denaro per lo stesso beneficio consumabile” (punto 42).

La Corte ha confermato la rilevanza IVA della fornitura, in virtù di tre passaggi logici:

i) la neutralità rende irrilevante la distinzione fra le operazioni lecite e illecite;

ii) esiste “il nesso diretto tra l’energia elettrica illegalmente consumata e la somma richiesta come corrispettivo dalla Fluvius”, cioè, il gestore della distribuzione di energia. A riprova, l’utente “ha prelevato l’energia elettrica al suo indirizzo di residenza e la Fluvius ha potuto stabilire la quantità così prelevata effettuando una misurazione del consumo effettuato tra il 7 maggio 2017 e il 7 agosto 2019 mediante lettura del contatore situato a tale indirizzo. L’importo corrispondente al costo dell’energia elettrica illegalmente consumata è stato quindi incluso nella somma richiesta a MX” (punto 30)

iii) “il criterio relativo all’esistenza di un rapporto giuridico”, “nell’ambito del quale avvengono la cessione di beni e il suo corrispettivo”, “deve avere un’accezione ampia”. Pertanto, “se l’erogazione di energia elettrica è avvenuta senza la conclusione di un contratto, i rapporti tra il consumatore clandestino e il gestore del sistema di distribuzione di energia elettrica sono disciplinati dal regolamento di allacciamento” e, inoltre, dalla “legge regionale” e dal “Decreto sull’energia” che “disciplinano l’ipotesi del prelievo di energia elettrica senza stipulare un contratto commerciale e senza informarne il gestore del sistema di distribuzione, e stabiliscono le modalità secondo cui viene fissata l’indennità che rappresenta il vantaggio indebitamente ottenuto da tale consumatore” (punti 31 e 32).

Tale approdo giurisprudenziale sembra prospettare la possibilità che, in determinate circostanze, la fonte giuridica della prestazione resa dal fornitore possa non esaurirsi nelle clausole della pattuizione contrattuale potendosi, invece, concretizzarsi nella legge o in un provvedimento ad essa equiparabile come, ad esempio, una sentenza.

Considerazioni conclusive

Lo schema fondato sullo scambio di due elementi (utilità/denaro), che sono collegati da un nesso diretto di reciprocità, sollecita una rilettura degli interventi della giurisprudenza europea.

Come si è visto, nella decisione Bastova il premio (controprestazione) non è assoggettato ad imposta in quanto la Corte non sembra essere riuscita ad individuare l’esistenza di una utilità (prestazione) trasferita dal proprietario del cavallo all’organizzatore della gara. Viceversa, nella decisione in commento, la rilevanza IVA è giustificata dall’esistenza dell’utilità (servizio complesso) dietro pagamento di una somma di denaro (cessione per metà dei premi spettanti al proprietario del cavallo).

Analogamente, nel caso Fluvius, la rilevanza IVA è confermata dal trasferimento, seppur involontario, di energia (utilità) nonostante la fonte dell’obbligo dell’utilizzatore di corrispondere al fornitore una somma di denaro non sia il contratto, ma la legge. Il risultato che si intravede in esito a tale percorso giurisprudenziale, evidentemente innovativo, è il superamento dell’idea che l’accordo contrattuale sia necessariamente un elemento costitutivo dell’operazioni IVA rappresentando, semmai, una spia dell’esistenza di una prestazione di servizi a titolo oneroso e, quindi, rilevante ai fini dell’imposta.

Fonte: Corriere Tributario, n. 7, 1 luglio 2023, p. 652

Avv. Clino De Ieso, Avvocato Tributarista cassazionista, Partner Studio Legale Tributario Centore

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