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Riformare la giustizia tributaria

Avv. Antonio Damascelli

Ordinamento tributario, riforme e professione

1. Premessa I tempi per mettere mano concretamente alla riforma della giustizia tributaria sono ormai maturi. La specialità delle Commissioni tributarie è stata giustificata soprattutto con riguardo alla correlazione tra i giudici e le controversie aventi ad oggetto la materia dei tributi, organi speciali revisionati ai sensi dell’art. VI, comma 1, delle disposizioni tran-sitorie e finali della Costituzione, con la conseguenza che la giurisdizione non potrebbe, pertanto, essere estesa a liti non tributarie, perché ciò li trasformerebbe (snaturerebbe) in “nuovi giudici speciali” in contrasto con l’art. 102, comma 2, Cost. Infatti, la Corte costituzionale ha affermato che l’art. 102 Cost. vieta l’istituzione di giudici speciali diversi da quelli nominati in Costituzione e, quanto all’obbligo di effettuare la revisione degli organi speciali preesistenti alla Costituzione nel termine ordinatorio dei cinque anni, ha, altresì, affermato che il legislatore ordinario in questo compito incontra due limiti costituzionali: a) non snaturare le materie attribuite a dette giurisdizioni, b) assicurare la conformità a Costituzione delle medesime giurisdizioni. Il mancato rispetto di questi limiti comporterebbe l’istituzione di un nuovo giudice speciale, che si porrebbe in contrasto con l’art. 102. Una volta assicurata la natura tributaria della materia assegnata all’organo giurisdizionale “revisionato”, i dubbi di incostituzionalità non si porrebbero.

2. Punti deboli dell’attuale modello della giustizia tributaria L’art. 111 Cost. stabilisce che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo, il quale si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. Attualmente, le Commissioni tributarie provinciali e regionali sono composte da giudici i quali dipendono economicamente dal MEF, dal MEF ricevono i compensi disposti, a loro volta, dalla DRE, nella cui circoscrizione ha sede la Commissione tributaria di appartenenza. Quindi, non si può dire che la terzietà del giudice sia un requisito garantito dall’attuale decreto, atteso che l’Agenzia è parte del processo, operativa dal 1° gennaio 2001, essendo succeduta nel processo al Ministero dell’Economia. I giudici tributari non accedono alle funzioni per concorso ma vengono nominati con D.P.R., su proposta del Ministro delle Finanze (art. 9 D.Lgs. n. 545/1992). La loro funzione è part time, non a tempo pieno, e la loro figura non è sempre professionale (alla giurisdizione tributa-ria appartengono anche pensionati, ingegneri ed altre figure alle quali la materia processuale non è affine), tale da garantire anche la conoscenza giuridica del rito. La composizione collegiale costituisce un inutile dispendio finanziario e di risorse intellettuali, se si considera, ad esempio, che nel 2019 l’82,6% del totale dei ricorsi pervenuti alle Commissioni tributarie provinciali ha avuto ad oggetto controversie di valore inferiore o uguale a 50.000 euro (per un totale di circa 827 milioni di euro), mentre solo l’1,4% dei ricorsi ha riguardato controversie di valore superiore a 1 milione di euro (per un totale di 8,7 miliardi di euro). Il 67,3% degli appelli pervenuti alle Commissioni tributarie regionali ha avuto ad oggetto controversie con valore inferiore o uguale a 50.000 euro (per un totale di circa 350 milioni di euro), mentre il 2,6% degli appelli totali ha riguardato controversie di valore superiore a 1 milione di euro (per un totale di 7,0 miliardi di euro). Nel primo grado di giudizio, l’83,7% dei ricorsi definiti ha riguardato controversie di valore inferiore o uguale a 50 mila euro. Non è previsto il giudice monocratico se non per i giudizi di ottemperanza di valore fino a ventimila euro.

3. Interventi di riforma de iure condendo Le aporie del sistema, anche interne al rapporto col processo civile, le cui disposizioni i giudici tributari applicano per quanto compatibili ed in mancanza della regula legis specifica, hanno trovato occasionale, se pur rilevante, accomo-damento da parte del legislatore. Pensiamo agli interventi recati dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, nonché all’inserimento nel corpo del D.Lgs. n. 546/1992 di nuove regole: l’art. 62-bis sulla sospensione dell’esecutività della sentenza di appello (si veda Cass. 5 settembre 2016, n. 17613), l’art. 70 sull’affidamento al giudice monocratico della competenza per i giudizi di ottemperanza relativi al pagamento di somme fino a ventimila euro e al pagamento delle spese processuali, l’art. 15 sulla liquidazione delle spese per responsabilità aggravata, in applicazione dei commi 1 e 3 dell’art. 96 c.p.c. Ma la giustizia tributaria va riformata nel suo insieme con un intervento organico. I passaggi significativi, che Uncat ha elaborato ed affidato ad un testo organico approvato all’unanimità dall’assemblea degli Avvocati al Congresso Nazionale Forense di Catania nel 2018 e presentato, altresì, nel corso di una conferenza stampa nella sala stampa della Camera dei deputati il 20 aprile 2021 tenendo conto sia del valore delle controversie , sia della necessità di mantenere invariata la distribuzione dell’amministrazione della giustizia tributaria sul territorio nazionale senza incidere sui costi, sono i seguenti:

  • articolazione della giustizia tributaria tra Tribunali e Corti di appello tributarie, non includendo la Suprema Corte di cassazione in quanto simbolo di garanzia dell’unità del sistema di tutela giurisdizionale dei diritti del cittadino, ai sensi dell’art. 111 Cost. e del R.D. n. 12/1941;
  • trasferimento della giustizia tributaria dal MEF alla Presidenza del Consiglio dei Ministri;
  • istituzione del giudice monocratico in primo grado per le controversie di valore non superiore a cinquantamila euro, per quelle catastali, per i giudizi di ottemperanza e per le controversie di valore indeterminato o indeterminabile;
  • istituzione del giudice onorario in primo grado per le controversie di competenza del giudice monocratico, ma limitatamente a quelle non superiori a cinquemila euro;
  • previsione della collegialità per tutte le controversie in secondo grado;
  • accesso alla magistratura tributaria mediante pubblico concorso ed obbligo del tirocinio;
  • trattamento economico del giudice tributario corrispondente a quello, anche previdenziale ed assistenziale, ferie, permessi e guarentigie, proprie del giudice ordinario di prima nomina. Per i giudici onorari, il trattamento economico sa-rebbe assicurato da un’indennità fissa mensile stabilita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri;
  • previsione del limite di età per il collocamento a riposto fissato a settant’anni;
  • istituzione del Consiglio giudiziario. Questa proposta di riforma appare pienamente coerente con le intenzioni espresse dal premier Mario Draghi con riguardo alla sfida che il PNRR pone al Paese: quella di accedere a riforme che siano: a) di sistema; b) coerenti con una visione rinnovata che proietti il Paese nel XXI secolo, rendendo sostenibile il piano; c) efficienti; d) professionalizzanti; e) al riparo di interessi costituiti. Non appaiono praticabili le soluzioni da altre parti avanzate in ordine al trasferimento della giustizia tributaria alla competenza della Corte dei conti o della giustizia ordinaria. Non la prima, essendo la Corte dei conti giudice della spesa. In tal modo assommerebbe in sé la duplice veste anche di giudice delle entrate, con un bisticcio ontologico di funzioni. Non priva di ostacoli concreti è la proposta in favore dell’AGO, anche nella sua articolata declinazione (limitata al pas-saggio solo del grado di appello). La lettura della prima e della seconda Relazione tecnica sul progetto di determinazione delle piante organiche della magistratura di merito dimostra che il passaggio alla giurisdizione ordinaria determinerebbe la paralisi della giustizia tributaria. Con la prima Relazione del 16 dicembre 2019 inviata al CSM per il parere, il Ministero della Giustizia aveva elaborato lo schema di D.M. relativo alla rideterminazione delle piante organiche del personale della magistratura di merito, in attuazione dell’art. 1, comma 379, Legge 30 dicembre 2018, n. 145, che, sostituendo la tabella 2 allegata alla legge del 2001, ha aumentato il numero dei posti di dotazione organica portandoli dagli attuali 10.151 a 10.751 unità. La proposta del 16 dicembre 2019, incentrata sulla maggiore dotazione delle Corti di appello, come ampiamente e diffusamente rammentato nella seconda Relazione tecnica del settembre 2020, prevedeva l’ampliamento delle piante organiche di complessive 402 unità, delle quali 106 erano assegnate agli Uffici giudicanti di secondo grado, “segno dell’importanza attribuita alle Corti d’appello già nell’originaria proposta ministeriale” (pag. 2 della seconda Relazione tecnica). La determinazione della proposta era giustificata, si legge nella Relazione, dalla necessità di “garantire il numero delle risorse necessarie a dare effettiva attuazione allo strumento della pianta organica flessibile, prevista dalla Legge 27 di-cembre 2019, n.160, e dunque di ‘accantonare’ un certo numero di unità (104) dal contingente disponibile di 530 per le funzioni di merito”. I criteri di determinazione della pianta organica fissa, su cui è intervenuta la Relazione, dovevano fare i conti con la pianta organica flessibile introdotta da questa legge. Per le p.o. flessibili, con la proposta ministeriale trasmessa al CSM, è stato operato l’accantonamento di 104 unità del complessivo contingente di 530 posti disponibili per le funzioni di merito. Il riscontro del CSM, diretto ad ottenere un ampliamento della pianta organica, ha trovato parziale condivisione da parte del Ministero, il quale ha portato da 106 a 118 la dotazione degli Uffici di merito delle Corti d’Appello. Gli obiettivi principali di politica giudiziaria sono espressamente enunciati e, tra loro, “l’importanza di tale obiettivo di rafforzamento della pianta degli Uffici giudicanti di secondo grado trova inoltre riscontro nella recente approvazione, da parte del Parlamento, della Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (c.d. Legge di stabilità per il 2020), che all’art. 1 comma 433 prevede che ‘nella distribuzione del contingente di cui alla lettera L della tabella B allegata alla Legge 5 marzo 1991, n. 71, deve essere accordata prioritaria rilevanza alle Corti d’Appello’”. Al CSM, che aveva avanzato un complessivo parere in favore dell’ampliamento delle piante organiche fisse di 45 unità in aggiunta a quelle già previste dalla proposta ministeriale, il Ministero nella seconda Relazione ha opposto l’inaccoglibilità della richiesta, perché, diversamente, resterebbe frustrata l’esigenza di garantire il funzionamento del meccanismo previsto per le piante flessibili distrettuali. Il Ministero evidenzia che “il progetto ministeriale si pone l’obiettivo ambizioso di ridefinire - rectius ampliare - l’organico della generalità degli Uffici giudiziari di secondo grado, intervenendo non solo in quelle realtà caratterizzate da rilevanti e significative pendenze incrementatesi nel corso dell’ultimo quinquennio, ma anche e soprattutto laddove si è registrato un aumento considerevole delle iscrizioni, quale variabile che meglio rappresenta la domanda di giustizia. Infatti, come ampiamente evidenziato nella Relazione tecnica, il disposition time nazionale delle Corti di Appello è di 702 giorni nel procedimento civile e di 889 giorni per il penale, registrandosi peraltro dati assolutamente allarmanti per due delle tre Corti metropolitane che peraltro incidono in modo considerevole sul complesso degli affari nazionali: 1.498 giorni è la durata media dei processi penali nella Corte d’Appello di Roma mentre 1.560 giorni sono necessari in media per concludere un processo penale nella Corte d’Appello di Napoli”. Questi dati relativi alla giustizia ordinaria devono indurre a cautela e riflessione in ordine alla translatio iudicii, cioè devono revocare in dubbio la bontà del progetto di trasferire il governo della giustizia tributaria al giudice ordinario, il quale già soffre di mali propri. De iure condendo, il trasferimento della giustizia tributaria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sul modello del Consiglio di Stato, e l’accesso alla magistratura per concorso assicurano, per converso, la terzietà e l’indipendenza del giudice (art. 111 Cost.) e le modalità della nomina dei giudici per concorso (art. 106 Cost.), senza dover richiedere un intervento di modifica costituzionale, ancorché resti auspicabile a questo punto l’integrazione dell’art. 103 Cost. che contempla la giurisdizione della Corte dei conti, del Consiglio di Stato e dei Tribunali militari. La previsione del giudice monocratico e di quello onorario nasce dai dati statistici. Se si pensa che per il 2019 il 49,16% dei ricorsi introdotti in CTP ed il 26,93% degli appelli introdotti in CTR avevano un valore inferiore ai tremila euro e che questo tipo di controversie, di solito, riguarda questioni ripetitive (tasse auto, contributi ai consorzi di bonifica, omessi o insufficienti versamenti di tributi comunali, che non involgono delicate questioni di diritto), è ragionevole ritenere che la decisione di queste controversie non debba impegnare un collegio di tre giudici, ma che sia sufficiente uno solo giudice in veste monocratica e, addirittura, sembra naturale ed economicamente vantaggioso affidare queste controversie ad un giudice onorario. L’incarico del giudice tributario onorario, tenuto ad un tirocinio di sei mesi organizzato dal CPGT, ha durata quadriennale, confermabile soltanto per altri quattro anni previa verifica di merito, e cessa con il compimento del settantesimo anno di età, allo scopo di equiparare indistintamente la durata di tutte funzioni magistratuali, senza eccezioni, non plausibili, per il solo giudice tributario.

4. Disciplina transitoria La disciplina transitoria dovrebbe consentire la conservazione delle esperienze già maturate in capo a quei giudici che dimostreranno di essere in possesso dei necessari titoli. In particolare, nel progetto Uncat si prevede che i giudici onorari laici attualmente in organico ed in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o dell’abilitazione all’esercizio della professione di dottore commercialista conseguiranno, con precedenza rispetto agli altri aspiranti, le funzioni giudicanti e la nomina avverrà mediante la sola valuta-zione dei titoli determinanti per ciascuna delle funzioni, con apposito Regolamento del Presidente del Consiglio dei Ministri. I magistrati onorari togati, ordinari, amministrativi, contabili e militari, membri delle attuali Commissioni tributarie, potranno chiedere, entro un termine di 90 gg. dall’entrata in vigore della legge, l’inquadramento nei ruoli della magi-stratura tributaria, conservando tutti i diritti acquisiti, anche ai fini previdenziali ed assistenziali, ricoprendo la funzione già svolta. I giudici onorari attualmente in carica nelle Commissioni tributarie potrebbero ritenere non conveniente operare la scel-ta definitiva di restare nella giurisdizione tributaria in modo organico. In tal caso, è stata prevista per loro la possibilità di chiedere il conferimento dell’incarico di giudice onorario tributario con dispensa dal tirocinio e con precedenza ri-spetto agli altri concorrenti. Questo assetto in senso professionalizzante, proiettato a garantire la qualità della produzione giurisprudenziale, appare lo strumento più utile per arginare l’ingorgo della Suprema Corte di cassazione, innanzi alla quale alla fine del 2020 le pendenze complessive dei giudizi civili in cassazione erano 120.473 e di queste ben 53.482 in materia tributaria . Dalla stessa Relazione del Primo Presidente della Suprema Corte abbiamo appreso che all’inizio del 2018 la pendenza era di 52.276 ricorsi, mentre a fine anno la pendenza era di 54.474, il punto più alto mai raggiunto. Nel corso dell’anno successivo la pendenza si ridusse a 52.542 cause tributarie. Nel 2020 la pendenza è risalita a 53.482, circa 1.000 cause in meno di quelle pendenti a fine 2018, ma comunque una misura, ha osservato il Primo Presidente, assolutamente ele-vata. L’analisi scomposta per materie delle decisioni della Cassazione ha fatto dire al Primo Presidente che il numero degli annullamenti di decisioni delle Commissioni tributarie regionali è pari al 45,6%, un dato nettamente superiore a quello degli annullamenti delle decisioni dei giudici civili di secondo grado, che dovrebbe indurre a concentrare l’attenzione sul problema a monte dei giudizi di legittimità e “a pensare a riforme dell’appello tributario che consentano a quei giudi-ci di svolgere il loro lavoro a tempo pieno e in via esclusiva al pari di altri giudici specializzati, perché il diritto tributario è ormai uno dei settori più complessi e impegnativi dell’esperienza giuridica e il relativo contenzioso pone problemi di ri-levante peso economico e di particolare delicatezza per cittadini, imprese ed erario. Solo operando in tal senso è ipotizzabile che il numero dei ricorsi che investe la Sezione tributaria della Corte si collochi a livelli fisiologici e che, per questa via, si possa conseguire un riequilibrio tra sopravvenienze e decisioni, che a sua volta incida positivamente sulla situazione complessiva della Corte”.

5. Mediazione tributaria L’istituto della mediazione, disciplinato dall’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, è stato oggetto di critica relativa alla sua struttura di potere decisionale accentrato nell’Agenzia fiscale o nell’Ente impositore, la cui materia sia devoluta alla competenza funzionale delle Commissioni tributarie. Il difetto della terzietà propria dell’ufficio della mediazione con-templato per le controversie civilistiche ne ha reso aggredibile l’impianto costitutivo da parte della dottrina e degli operatori. La Corte costituzionale, nel ricordare che la propria consolidata giurisprudenza esclude che la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale implichi necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto (o dell’interesse legittimo) e tale tutela, essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri - in particolare, il previo esperimento di un rimedio amministrativo - che, condizionando la proponibilità dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia, appunta il rimando esemplificativo al reclamo e alla mediazione tributari. Questi istituti, con il favorire la definizione delle controversie nella fase pregiurisdizionale introdotta con il reclamo, tendono a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice aspetto: da un lato, assicurando un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e ai costi della procedu-ra giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, con vantaggio sia per il contribuente che per l’Amministrazione finanziaria; dall’altro, riducendo il numero dei processi di cui sono investite le Commissioni tributarie e, conseguentemente, assicurando il contenimento dei tempi e un più attento esame di quelli residui. Per la Corte, la concorrenza di “altri preventivi istituti deflattivi (quali l’autotutela, l’obbligo del preventivo contrad-dittorio, l’accertamento con adesione)” non esclude né, come è ovvio, l’astratta adeguatezza del reclamo e della mediazione tributaria al soddisfacimento dell’indicato interesse generale, né la concreta idoneità e utilità di tali istituti al conseguimento di detto fine. Al riguardo, è sufficiente osservare come l’obbligatorietà della procedura introdotta dal reclamo (a fronte della facoltatività delle istanze di autotutela e di accertamento con adesione) e la previsione della mediazione quale strumento di composizione delle controversie legato alla valutazione, da parte dell’Agenzia delle entra-te, anche dell’economicità dell’azione amministrativa - oltre che dell’eventuale incertezza (in diritto) delle questioni controverse e del grado di sostenibilità (in fatto) della pretesa - secondo la Corte conferiscano al reclamo e alla media-zione tributari una particolare effettività sul piano del più pronto soddisfacimento delle situazioni sostanziali e della de-flazione del carico di lavoro della giurisdizione tributaria. La Corte ha ritenuto infondata la qlc anche con riferimento alla violazione dell’altro parametro costituito dall’art. 24, ritenuto violato dal giudice remittente in quanto il reclamo scoprirebbe le carte difensive del ricorrente. Per la Corte, il fatto che, per le controversie alle quali è applicabile l’art. 17-bis, i motivi e l’”oggetto della domanda” debbano essere resi noti quando “il provvedimento è ancora da valutare” e non siano successivamente modificabili non determina alcun pregiudizio per il diritto di difesa del contribuente. Infatti: a) nel caso in cui il reclamo venga accolto o la mediazione conclusa, il contribuente non avrà interesse ad adire la Commissione tributaria; b) nei casi in cui, invece, decorra il termine dilatorio di novanta giorni dalla presentazione del reclamo senza che sia notificato l’accoglimento dello stesso o sia conclusa la mediazione o lo stesso reclamo venga, in tutto o in parte, respinto (e il con-tribuente, naturalmente, decida di adire l’autorità giudiziaria), il processo avrà ad oggetto lo stesso originario provvedimento amministrativo, cioè un atto nei confronti del quale il ricorrente ha potuto, nel consueto termine di sessanta giorni, proporre le proprie “prospettazioni difensive”. D’altro canto, proprio in ragione del fatto che i motivi del ricorso sono già contenuti nel reclamo e non sono successivamente modificabili, deve escludersi che l’Amministrazione finanziaria possa avanzare una pretesa che, ancorché in-feriore rispetto a quella iniziale, sia diversamente motivata o fondata su nuovi presupposti. Tale interpretazione costi-tuzionalmente adeguata dei poteri dell’Amministrazione finanziaria esclude, evidentemente, che l’indicata impossibilità di modificare i motivi di doglianza contenuti nel reclamo possa ledere il diritto di difesa del ricorrente. La deflazione del contenzioso potrebbe, invece, trovare utile sbocco proprio all’interno del processo ed arginare, quindi, l’ulteriore decorso della lite in modo che non se ne producano gli effetti espansivi al secondo grado e, pregiudizialmen-te, a quello di legittimità. Lo strumento più idoneo a disposizione è l’istituto della conciliazione, non secondo il modello degli artt. 48 e 48-bis D.Lgs. n. 546/1992 attualmente operanti per il processo tributario, ma secondo la disciplina prevista dall’art. 185 c.p.c. e, ancora meglio, dall’art. 420 c.p.c. Mentre l’art. 185 abilita il giudice a fissare la comparizione delle parti per interrogarle e provocarne la conciliazione, ma su istanza congiunta delle parti stesse, con la conseguenza che alcuna conciliazione può essere tentata se manca l’istanza, l’art. 420 c.p.c. in materia di processo del lavoro vincola il giudice ad interrogare liberamente le parti, a tentare la conciliazione ed a formulare egli stesso una proposta transattiva o conciliativa, senza essere sollecitato dalle parti. Una giustizia tributaria inserita in un contesto di terzietà e, soprattutto, di professionalità è potenzialmente in grado di assolvere alla funzione conciliativa e di raggiungere l’obiettivo della deflazione dei processi. Solo una magistratura specialistica a tempo pieno, affrancata da altre incombenze proprie degli altri comparti della giurisdizione e dotata dei re-quisiti di professionalità, in grado di possedere i fondamentali della materia, potrebbe assolvere alla funzione di conciliare le parti.

6. Conclusioni Il diritto tributario, come il diritto pubblico, è materia troppo complessa e soggetta a quotidiani interventi legislativi, giu-risprudenziali e di prassi, per essere affidata ad un giudice che non sia dedicato a tempo pieno a quel servizio e non vi profonda tutte le proprie energie intellettuali utili a formare la sua esperienza. Corrispondentemente, la giustizia tributaria è già avviata, dal 2018 , alle novità - oggi realtà sia pur parzialmente compiuta - del processo tributario telematico e nell’immediato si troverà ad affrontare la sfida dell’intelligenza artificiale e della giustizia predittiva, materia su cui è stata chiamata a pronunciarsi la giustizia amministrativa. Pensare che la giustizia tributaria possa ancora continuare ad essere amministrata in modalità part time significherebbe abbandonare ogni prospettiva utile al Paese e arretrare la storia di centotré anni, restando sempre attuale ancor oggi il giu-dizio di L. Einaudi: “Occorrono dunque leggi semplici, perequate, senza trabocchetti ed inflessibili. Ma qualunque legge, anche ottima, a nulla gioverà se ad applicarla non sia chiamato un corpo di funzionari colto, indipendente, ben pagato, sussidiato da una giusta magistratura tributaria ... Dinanzi a funzionari colti ed indipendenti, anche i contribuenti, tutelati da magistrature imparziali, si troveranno più a loro agio. E la psicologia odierna, per cui tutti si stupiscono di dover pagare, si muterà nell’altra parte per cui tutti sentiranno il dovere di pagare”. Forse c’era un eccesso di ottimismo prospettico in Einaudi, ma non si può dubitare del valore giuridico ed etico-culturale del monito.

Fonte: Il Fisco - Approfondimento - Processo tributario

Avv. Antonio Damascelli, avvocato tributarista cassazionista, Presidente Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi

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