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Riflessioni (minime) su un modello di giustizia predittiva.

avv. Michele Di Fiore

Ordinamento tributario, riforme e professione

L’uso dell’intelligenza artificiale (IA) come strumento di supporto per la giustizia è ancora un fenomeno embrionale; la sensazione, però, è che essa possa trovare un’accelerazione sotto la spinta delle riforme imposte dal PNRR e divenire a breve strumento di utilizzo quotidiano, così come è accaduto con la videoconferenza, che, sotto la spinta delle necessità imposte dall’emergenza sanitaria da covid, è oramai strumento di abituale utilizzo, grazie al quale è possibile l’udienza a distanza.

L’utilizzo dell’IA - al quale faccio riferimento - è quello dell’analisi e del trattamento della giurisprudenza per ridurre l’alea del giudizio e garantire una maggiore prevedibilità delle decisioni giudiziarie. Nell’esercitare il diritto di difesa, gli avvocati già svolgono questa funzione predittiva verso i loro clienti. Probabilmente, la semplificazione tecnologica spiega la ritrosia all’applicazione dell’IA da una parte dell’avvocatura, che va superata perchè ha origine culturale corporativa.

A differenza dei colleghi di altre branche, gli avvocati tributaristi hanno già esperienza dell’applicazione di algoritmi nel procedimento di imposizione e per questa ragione sono più attenti alle applicazioni e implicazioni dell’IA. Attenta al nuovo fenomeno, l’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi – UNCAT ha presentato al 35° congresso nazionale forense, dalla quale traggono spunto queste mie riflessioni.

Oggi la giustizia predittiva desta un maggiore interesse perché la rilevanza dei precedenti è percepita quale valore da perseguire. Nel tempo, la distanza tra i sistemi di civil law e common law si è ridotta: precedente e massima di legittimità, pur non coincidendo, svolgono una funzione simile. Nel nostro sistema la massimizzazione crea il precedente e il precedente di legittimità è quanto meno regola forte di decisione per controversie giudiziarie future.

Nella mozione presentata, Uncat osserva come l’IA sia utilizzata da tempo nella materia tributaria: numerosi sono gli esempi, da quello più datato, l’algoritmo alla base del redditometro secondo il quale se è posseduta un’autovettura di un certo numero di cavalli è presunto il possesso di un reddito di “X”, a quelli più recenti, tra i quali il sistema “Vera” per l’analisi generalizzata dei rapporti finanziari al fine di selezionare campioni che, evidenziando anomalie, possono svelare fenomeni di evasione. Le insidie di queste costruzioni artificiali, talune con valore di presunzione legale relativa, sono note perché si è costretti a dover contrastare il risultato di un algoritmo senza conoscere in base a quali dati lo stesso è stato elaborato. L’esperienza negativa, però, non può essere un baluardo per contrastare l’evoluzione tecnologica della giustizia, imposta dai tempi che viviamo.

Allora, anticipando le conclusioni, sono favorevole all’utilizzo dell’IA nel processo tributario purché la giustizia predittiva, funzionale a conoscere la giurisprudenza precedente per prevedere le percentuali di accoglimento del ricorso, rimanga soltanto uno strumento di conoscenza che il giudice utilizza per decidere in autonomia e purché la progettazione e gestione di questo strumento avvenga coinvolgendo tutti i soggetti protagonisti del processo, ciascuno portatore di interessi diversi, il tutto sotto la direzione di un’autorità terza ed indipendente. Il sistema, inoltre, deve essere costruito raccogliendo tutti i dati utili, non soltanto le sentenze. Il costruttore dell’IA da applicare al processo deve indicare criteri, mezzi e valori sui quali essa è edificata. Solo in tal modo il ricorso all’IA non pregiudicherà gli interessi costituzionalmente protetti, in particolare il principio di legalità (art. 23 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53 Cost.), e il diritto alla privacy di ogni contribuente, come disciplinata dalla normativa europea.

In occasione di un recente convegno, la ministra Cartabia ha affermato il primato della legge sulla tecnica e allo stesso tempo l’importanza del dialogo tra legge e tecnologia. L’IA è uno strumento prezioso a supporto dell’attività del giudice ma non deve mai diventare un suo sostituto: esso contribuirà alla fase del conoscere ma rimarrà estranea alla fase del decidere, perché solo il giudice in carne ed ossa – anzi con la sua anima come scriveva il Calamandrei – è in grado di affrontare il grande peso della grande responsabilità di rendere giustizia, cogliendo tutte le sfumature, peculiarità e specificità di ogni singolo caso. L’IA serve per la conoscenza dei fatti, per la raccolta di materiale e per l’individuazione delle norme di riferimento, ma va preservata la specificità e unicità di ogni decisione e questa è possibile solo con un giudice in carne ed ossa.

Sono molti, infatti, i condizionamenti che possono scaturire dall’utilizzo improprio di questo mezzo. La previsione non può costituire una sorta di massimario evoluto, una raccolta asettica di decisioni capaci di condizionare l’esito di controversie analoghe. La giustizia predittiva deve essere costruita con riferimento non solo agli orientamenti giurisprudenziali ma anche alle eccezioni e argomentazioni delle parti in causa: il giudice forma il proprio convincimento sulla base delle prove addotte dalle parti e sul principio di non contestazione ed è vincolato dal principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

L’applicazione della IA in ambito giudiziario è un’attività ad alto rischio che richiede la massima cautela e condivisione tra le professioni coinvolte.

I maggiori timori sono i seguenti:

a) il risultato dell’algoritmo è influenzato dalla qualità dei dati che vengono posti come input: è necessario curarne la qualità, l’indipendenza della fonte e l’accessibilità. Un sistema costruito solo sui precedenti giurisprudenziali sarebbe inconsistente con il nostro sistema giuridico di civil law nel quale le decisioni devono essere fondate sull’applicazione della legge e non del precedente. È necessario introdurre tra i dati di input anche gli argomenti di difesa. È noto che medesime fattispecie concrete possono differenziarsi ed anche sensibilmente sul piano processuale in base al contenuto delle allegazioni e argomentazioni delle parti. La valutazione predittiva dell’esito del giudizio è influenzata da come l’argomento è stato posto e trattato nell’atto impositivo – la domanda giudiziale – e da come è stato confutato da parte del difensore. Già oggi gli avvocati denunziano che spesso le sentenze non riportano le loro posizioni in modo esauriente con la conseguenza che vanno perse visioni e interpretazioni nuove, che vengono proposte in giudizio e che meriterebbero di entrare nel circuito della conoscenza giuridica. Se il rimedio proposto di inserire tutti gli atti di difesa delle parti non risultasse tecnicamente praticabile, sia per motivi di uniformità del dataset e sia per i limiti posti dalle norme sulla privacy circa la disponibilità degli atti dei difensori, una soluzione pratica potrebbe essere quella di inserire le parti delle difese che gli avvocati stessi avranno indicate come essenziali (una sorta di “abstract”). In tal modo le nuove raccolte di giurisprudenza saranno costituite da atti decisori, che però conterranno le parti essenziali e potenzialmente pregiate degli atti di parte così come selezionate dagli stessi avvocati;

b) la struttura dell’algoritmo non è neutra e deve essere verificabile; cosa difficile se l’algoritmo è protetto da diritti di proprietà industriale, ragione per la quale il sistema deve essere creato e gestito dallo Stato;

c) l’algoritmo richiede formazione del personale giudiziario per un suo corretto utilizzo;

d) l’algoritmo predittivo non può dare il risultato esatto di una controversia ma il suo possibile esito con vari rischi: non è in grado di riconoscere che quello sottoposto non è un caso simile. Esistono delle specificità che un decisore umano rileverebbe e che lo porterebbero a operare una distinzione che invece l’algoritmo non coglie;

e) l’algoritmo può favorire l’effetto gregge. Il giudice pigro potrebbe essere indotto ad adagiarsi sulla proposta dell’algoritmo senza assumere su di sé la responsabilità del giudizio che egli emette, con un conseguente effetto di cristallizzazione della giurisprudenza che risulterebbe meno sensibile ai cambiamenti sociali. La questione non è nuova perché qualsiasi raccolta giurisprudenziale cartacea può provocare questo effetto. Per superare e vincere il timore è necessario che il giudice acquisisca la conoscenza sui sistemi predittivi, sulle loro caratteristiche e sul loro uso appropriato previo processi di formazione. Un ulteriore rimedio è quello di prevedere che il sistema predittivo non indichi soltanto il risultato più probabile ma riporti anche l’esistenza di diversi indirizzi all’interno dei precedenti considerati, associando a ciascuno di essi le ragioni a sostegno delle decisioni. Spetterà così al giudice decidere se allinearsi o meno alla tendenza prevalente.

Se è vero che l’applicazione della IA in ambito giudiziario è un’attività ad alto rischio che richiede la massima cautela e condivisione tra le professioni coinvolte, è altrettanto vero che il suo utilizzo è una necessità per rendere più efficace il funzionamento della giustizia. Il fenomeno da embrionale oramai è in fase di forte evoluzione e, secondo chi scrive, è irreversibile.

La considerazione finale che una parte della dottrina, annoverata come tra quella più qualificata - Sartor e Santosuosso - trae sul thema è che “si dovrà avere consapevolezza che non esiste alcun sistema, per quanto accurata sia la progettazione, che non necessiti di essere testato, verificato nella pratica, sottoposto a riesame critico, sia da punto di vista tecnico che giuridico. Si dovrà immancabilmente procedere per tentativi ed errori, nella consapevolezza che anche non tentare un’innovazione può essere un errore e provocare danni.”.

Napoli, lì 3 febbraio 2023

a cura dell'avv. Michele Di Fiore

Presidente della Camera degli Avvocati Tributaristi della Provincia di Napoli

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