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Responsabilità dell'avvocato tributarista nell'adozione di condotte abusive dell'impresa

Avv. Lorenzo Colonna

Sanzioni

La figura professionale dell’avvocato che lavora con le imprese è al giorno d’oggi al centro di un cambiamento epocale.

Per soddisfare le richieste della clientela è oggi imprescindibile saper coniugare le conoscenze legali con le logiche imprenditoriali e di conseguenza con le necessità economiche e finanziarie della società-cliente in modo tale da dare un supporto concreto all’attività di impresa in ogni sua fase. Il modello del ciclo di vita di ogni impresa, infatti, evolve passando per una serie di fasi: avvio, espansione, maturità e declino. In ognuna di queste fasi il professionista, che è soprattutto un consulente, è in grado di fornire, secondo uno studio accurato delle diverse esigenze della società cliente, consulenza sia legale che finanziaria funzionale alla realizzazione dell’oggetto sociale.

Aspetto imprescindibile di questo nuovo ruolo che il professionista si sta ritagliando è quello di fornire la propria consulenza nel mare magnum di norme fiscali al fine di raggiungere l’obiettivo del lecito risparmio di imposta, ovvero offrire una consulenza volta a massimizzare il beneficio del proprio cliente attraverso la predisposizione di modelli organizzativi che siano finalizzati ad alleggerire il più possibile il carico fiscale del contribuente.

È di tutta evidenza come nel fare ciò potrebbe anche accadere l’eventualità che il professionista rimanga coinvolto dalle responsabilità proprie delle azioni del contribuente, laddove dovesse venire, a vario titolo, come si dirà, coinvolto. Ma quali sono le responsabilità del professionista-consulente e dove si annida la scure sanzionatoria?

In quale ambito interviene il consulente?

In tal senso potrebbero scorgersi in tutte quelle operazioni straordinarie quali fusioni, scissioni, conferimenti di patrimoni societari o comunque in tutte quelle operazioni volte alla riorganizzazione di patrimoni, anche personali, dei contribuenti, se poste in essere da questi ultimi mediante operazioni ritenute abusive, o peggio ancora evasive, da parte dell’Amministrazione Finanziaria. L’obiettivo che si prefigge l’imprenditore in questi casi è quello, come detto, di conseguire un lecito e legittimo risparmio d’imposta ed a tal fine il professionista ha ampia discrezionalità e svariate scelte da suggerire per raggiungere tale obiettivo.

Ed è proprio in questi casi che l’operazione posta in essere, laddove l’Amministrazione Finanziaria ravvisi che con la stessa sia stato conseguito un indebito vantaggio fiscale, sarà considerata abusiva. È chiaro che in questi casi il confine con l’evasione è labile con le conseguenze che ciò determinerebbe. Ciò che conta, però, ai fini della responsabilità di cui si discute, è che vi sia un chiaro nesso tra la consulenza resa dal professionista e le contestazioni sollevate da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Lo sfasamento che impera tra norme di legge ed interpretazioni amministrative e giurisprudenziali rischiano di inghiottire il contribuente e con esso il professionista in un baratro sanzionatorio, sia amministrativo che penale, stante le incertezze che ad oggi regnano nell’ambito fiscale.

In realtà con la norma di cui all’art. 10 bis introdotta nello Statuto dei diritti del contribuente (appunto intitolata “Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale”) dall’art. 1 del D.Lgs. n. 128 del 5 agosto 2015 recante “Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente”, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23, l’abuso del diritto è stato depenalizzato.

La nuova disciplina entrata in vigore il 2 settembre 2015 che, ai sensi dell’art. 1, ultimo comma, del citato Decreto, ha acquistato efficacia a decorrere dal 1 ottobre 2015, raccoglie in forma unitaria i principi e le regole in materia di abuso del diritto e di elusione in materia fiscale ovvero unifica le nozioni di abuso del diritto ed elusione fiscale, che vengono fuse in un'unica definizione (art. 10 bis, comma 1).

Al contempo, il comma 2 dell’art. 1 del decreto ha abrogato l’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, attraverso il quale finora è stata disciplinata l’elusione fiscale, limitatamente peraltro a una serie di fattispecie, numerose e molto importanti, ma non esaustive, in esso espressamente indicate. Fino a tale intervento non vi era alcuna norma che fornisse una definizione di abuso del diritto in materia tributaria pertanto la lotta al cosiddetto indebito risparmio d’imposta avveniva con la formulazione postuma di norme specifiche volte a contrastare tali condotte. L’elusione, così come l’abuso del diritto, essendo fenomeni in continua evoluzione ed espansione, necessitavano di uno strumento di contrasto più duttile che una serie di norme analitiche.

Fino all’entrata in vigore del suddetto art. 10 bis è stata la Corte di Cassazione che ha sopperito alle lacune legislative tanto da elaborare con le note sentenze n. 30055, 30056 e 30057 del 23 dicembre 2008 una definizione di abuso del diritto scindendo il settore impositivo armonizzato cui demandava l’interpretazione alla Corte di Giustizia Europea, da quello non armonizzato basato sui principi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione di cui all’art. 53 della Costituzione a norma dei quali non era possibile utilizzare le norme tributarie abusivamente con un fine diverso da quello per il quale erano state scritte.

La normativa sull'abuso del diritto in ambito tributario

Per questi motivi l’introduzione di una disposizione generale in materia di abuso del diritto in ambito tributario era auspicabile. La disposizione introdotta nello statuto dei diritti del contribuente pur nella sua genericità racchiude comunque diversi elementi caratterizzanti che erano già presenti nell’abrogato art. 37 bis del DPR 600/1973. D’altro canto la disciplina anti-elusiva di cui all’art. 37 bis suddetto era circoscritta alla sola materia delle imposte dirette, mentre la collocazione dell’art. 10 bis in commento nello statuto dei diritti del contribuente ha consentito di allargare le maglie anche nei confronti di tutte le altre imposte (ad eccezione di quelle doganali) trovando un più giusto collocamento legislativo.

Per ciò che qui è di interesse va sicuramente posta attenzione sul primo comma che definisce le operazioni che danno luogo all’abuso del diritto quali quelle prive di sostanza economica che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti, così come il terzo comma che esclude dal novero dell’abuso quelle operazioni che, pur rientrando nella definizione del primo comma, siano giustificate da valide ragioni extra fiscali non marginali. Significativa poi è l'ultima previsione del nuovo articolo 10-bis che chiarisce come le contestazioni relative al "nuovo" abuso del diritto (condotte elusive/abusive) non costituiscono più reato penale; a prevederlo è il nuovo comma 13 secondo il quale: “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”.

Ne discende che qualora il contribuente ponga in essere operazioni che abbiano i requisiti previsti dalla normativa in commento le stesse saranno considerate abusive e verranno, però, sanzionate solo amministrativamente ma non potranno configurare alcuno dei reati previsti dal D.lgs. 74/2000. Il legislatore, inoltre, ha inteso rafforzare tale depenalizzazione inserendo, nell’ambito della riforma dei reati tributari, la lettera g-bis) all’interno dell’art. 1 del D.lgs. 74/2000 che definisce gli atti simulatori stabilendo che:”per operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’art. 10-bis L. 212/2000 poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte, ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti”. Il legislatore, dunque, ha voluto operare una netta distinzione tra atti configuranti abuso del diritto ed atti evasivi.

Tale distinzione è di notevole importanza perché dalla esatta qualificazione dell’operazione posta in essere discendono conseguenze differenti. Nonostante tale sforzo chiarificatore, però, bisogna fare i conti con la lettura che di volta in volta viene data da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Ecco perché notevole importanza riveste la funzione interpretativa della Corte Suprema.

L'interpretazione della Cassazione

Con la sentenza n. 40272/2015 del 7 ottobre 2015, infatti, la Corte di Cassazione ha applicato per la prima volta le nuove norme sulla depenalizzazione dell'abuso del diritto, stabilendo appunto che l’elusione fiscale sarà perseguibile solo con una sanzione amministrativa. Pronunciandosi, su una vicenda in cui all’amministratore di una società era contestato il reato di dichiarazione infedele (art. 4, D.Lgs. n. 74/2000) per aver indicato nella dichiarazione IRES elementi passivi fittizi, conseguenza di un’operazione negoziale formalmente lecita posta in essere al solo scopo di conseguire un risparmio di imposta con superamento delle soglie di punibilità previste dalla norma penale tributaria, la Cassazione, con la sentenza in commento, nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui tale reato, per come contestata la condotta, era da intendersi ormai depenalizzato a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina in tema di abuso del diritto, ha affermato che sono “depenalizzate” quelle condotte abusive finalizzate esclusivamente al risparmio d’imposta, escludendo peraltro che alla depenalizzazione osti la norma transitoria di cui all’art. 1, comma 5, D.Lgs. n. 128 del 2015, chiaramente riferibile solo alla parte sanzionatoria amministrativa tributaria e non a quella penale, come si evince dalla norma generale dell’art. 2, comma 4, c.p..

Dello stesso tenore la sentenza n. 48293/2016 della Suprema Corte ove si evince come l’Agenzia delle Entrate abbia proceduto a qualificare un insieme di operazioni (composte da una scissione societaria, costituzione di nuova società in cui veniva conferito un immobile per il valore di 54 milioni di euro, vendita delle quote alla scissa, successiva vendita ad una società terza dell’immobile, estinzione della società venditrice in quanto svuotata di tutti i suoi asset) come simulatorie in quanto realizzative di una struttura societaria interposta, volta a sottrarre elementi attivi alla tassazione, con conseguente configurabilità di cui all’art. 3 Dlgs 74/2000, ossia la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Per sintetizzare: se l’operazione è avvenuta e si sia quindi effettivamente concretizzata, il reato non potrà mai realizzarsi.

Sebbene il legislatore abbia codicizzato l’abuso del diritto nell’ordinamento tributario italiano, scindendolo chiaramente dall’evasione mediante l’inserimento di apposite clausole di esclusione (e ci riferiamo al co. 13, art. 10-bis e alla lett. g-bis) art. 1), purtroppo, però, spetta sempre agli operatori del diritto seguire questa netta linea di demarcazione. In tal senso, dunque, bisogna prendere atto anche di pronunce di segno opposto rispetto a quelle summenzionate, come quella di cui alla sentenza della Suprema Corte n. 38016/2017.

Un caso concreto

La Corte Suprema, infatti, ha condannato un amministratore di Srl per infedele dichiarazione di cui all’art. 4, Dlgs 74/2000 in quanto, a monte delle operazioni di scissione di immobile e terreni agricoli, con successiva vendita delle partecipazioni della beneficiaria ad una società terza, vi era un preliminare di vendita stipulato tra le parti ove si conveniva la volontà di vendere non già le partecipazioni, bensì proprio gli immobili e i terreni. Nonostante nella dichiarazione fosse stato indicato il realizzo di un plusvalenza esente (c.d. partecipation exemption), in luogo di una plusvalenza totalmente imponibile e quindi, nonostante l’operazione sia stata effettivamente realizzata e segnalata, non venendo in alcun modo intralciata la fase accertativa, gli ermellini confermavano la condanna per infedele dichiarazione poiché le operazioni straordinarie avevano come fine quello di simulare un fine diverso da quello originariamente previsto nel preliminare.

In tale ambito si evince quindi come l’operazione complessivamente ricostruita, delle tre vie disponibili (lecito risparmio d’imposta, abuso del diritto, evasione) sia stata erroneamente ricondotta a quella evasiva. Gli ermellini hanno fornito una interpretazione di senso opposto all’accezione fornita dal legislatore di atto simulatorio (giacché se un atto è effettivamente posto in essere, non può essere simulato) e soprattutto hanno confuso, o meglio, fuso le due fattispecie di abuso ed evasione. In altre parole, la Suprema Corte non ha colto la sostanziale differenza tra atto simulato e atto effettivamente posto in essere, ignorando quindi i paletti fissati dal legislatore; conseguenza di ciò è stata la ricomprensione della simulazione nella fattispecie abusiva.

Dunque al cospetto dei temi dell'abuso del diritto e dell'elusione, il problema consiste (e consisteva, sub specie elusione/evasione) nel decidere se una condotta integratrice di una figura di abuso/elusione sia altresì riportabile a una delle figure d'incriminazione contemplate dalla normativa penal-tributaria.

Sicché diventa cruciale, soprattutto alla luce di una disposizione che definisce, unificandole, le nozioni di abuso del diritto e di elusione, determinare con precisione massima il contenuto e i limiti di tali nozioni: dal punto di vista del penalista, ciò significa individuare in maniera appropriata e adeguata criteri selettivi idonei per decidere quali condotte siano qualificabili come abusive del diritto e, pertanto, in osservanza del disposto dell'art. 10-bis l. 212/2000, per ciò solo non costitutive di reato. Questo compito, tanto delicato quanto non rinunciabile, come visto si è assunto la Corte di Cassazione, com'è istituzionalmente giusto e doveroso che sia.

Quali sono le responsabilità del consulente fiscale?

A questo punto della trattazione occorre domandarsi, però, se ed a che titolo il professionista risponda della consulenza prestata, se debba, cioè, farsi carico delle conseguenze legate alle condotte abusive contestate al contribuente. Un primo tentativo di estendere anche al consulente fiscale la responsabilità per violazione delle norme tributarie si ha con l’introduzione della Legge n.423 del 11 ottobre 1995, ma solo con i decreti legislativi n. 471, 472 e 473 emanati, in data 18 dicembre 1997, il legislatore sembra compiere una piccola ma significativa rivoluzione in tema di responsabilità personale dei rappresentanti legali, dei dirigenti amministrativi delle imprese e dei consulenti.

La responsabilità del consulente fiscale, nell’illecito amministrativo tributario, può essere esaminata sotto tre profili: a) responsabilità diretta ed esclusiva (per violazioni agli obblighi di legge); b) responsabilità esclusiva in luogo dell’esecutore materiale della violazione (figura dell’autore mediato, ipotesi di mancato o tardivo versamento di imposte); c) responsabilità in concorso con il cliente (concorso materiale, concorso morale). Limitandoci ad analizzare le responsabilità amministrative derivanti dalle contestazioni abusive, le prime sanzioni cui andrebbe in contro il professionista sono rinvenibili nel disposto di cui all’art. 5, co. 1 secondo periodo, nel concorso di cui all’art. 9 e nella fattispecie che lo individua quale autore mediato di cui all’art. 10 del Dlgs 472/1997.

Così il professionista risulterebbe passibile di sanzioni amministrative esclusivamente ove si dimostri che abbia agito per dolo o colpa grave: la prima si sostanzierebbe nella volontà di pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta, ovvero ostacolando l’attività accertativa, mentre la seconda è invece riconducibile nell’inosservanza, per imperizia o negligenza, di una elementare norma tributaria. In sostanza, la differenza tra il dolo e la colpa grave la si rinviene nella volontà del soggetto agente, sicché si avrà colpa grave del professionista ove questo abbia agito imprudentemente, senza premeditare l’evasione, mentre si avrà dolo nel caso in cui egli si prefiggesse già a priori la volontà di permettere l’evasione delle imposte al contribuente.

Da quanto sopra si evince proprio che la creazione di una serie di operazioni di ristrutturazione o riorganizzazione, aventi quale fine ultimo il raggiungimento di un indebito vantaggio fiscale, ben potrebbe essere interpretato e provato dall’Amministrazione Finanziaria quale atteggiamento imprudente, ovvero volontà di pregiudicare la determinazione dell’imponibile, con il rischio che al professionista vengano addebitate sanzioni amministrative. In questo caso la responsabilità in cui incombe non è solidale ma personale, ossia il professionista dovrà rispondere in proprio per l’intero ammontare delle sanzioni amministrative irrogategli.

Il professionista potrebbe rispondere di concorso

Ancora, il professionista non risponde solo quale semplice fornitore della consulenza, ma addirittura potrebbe rispondere per concorso, di cui all’art. 9, Dlgs 472/1997, con il contribuente qualora lo abbia istigato o sia stato con lui d’accordo per la violazione della norma tributaria, o, ancora, qualora ricorrano gli elementi soggettivi del dolo o della colpa grave. Sanzione speculare al concorso è quella relativa all’autore mediato, del successivo art. 10, che colpirebbe il professionista quale effettivo realizzatore dell’illecito qualora abbia strumentalizzato il contribuente, rendendolo l’esecutore del reato. In altre parole, il contribuente, essendo ignaro delle conseguenze, avrebbe posto in essere le operazioni in buona fede.

Si tenga conto poi che il concorso nel reato tributario è aggravato sic e simpliciter dalla figura del professionista quale consulente fiscale, difatti l’art. 13-bis, co. 3, Dlgs 74/2000 recentemente introdotto dall’art. 12, primo comma, D.lgs. n. 158/2015 e relativo alla responsabilità del consulente fiscale quale concorrente nel reato commesso dal contribuente, prevede che le pene del capo II, siano aumentate della metà in quanto il professionista viene ritenuto l’artefice di aver elaborato prima e venduto (rectius: commercializzato) il modello di evasione fiscale.

Proprio in merito alla circostanza aggravante di cui si discute merita attenzione, poiché ne traccia il perimetro operativo intervenendo sui profili di natura oggettiva e soggettiva che ne determinano l’applicabilità, la recente pronuncia della Cassazione la n. 1999 del 18 gennaio 2018. I fatti oggetto della pronuncia in analisi attengono a un procedimento di natura cautelare e precisamente a un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’indagato per i reati di cui agli artt. 110 e 81 cpv c.p., e d.lgs. n. 74/2000, art. 10-quater, comma 2, art. 13-bis, comma 3 (indebita compensazione in concorso). La contestazione concerneva, in particolare, l’ideazione e la commercializzazione di modelli di evasione fiscale attraverso i quali sarebbero state compiute, anche grazie a ripetute operazioni di accollo di debiti altrui, plurime compensazioni indebite.

Cosa si intende per "professionista"?

Per quanto attiene il requisito soggettivo condizionante l’applicabilità della menzionata circostanza speciale e ad effetto speciale, la Cassazione, accogliendo l’indirizzo fornito dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte, sposa un’interpretazione estensiva della nozione di “professionista”, da intendersi in senso sostanziale e, dunque “comprensiva di chiunque, nell’esercizio della sua professione, svolge attività di consulenza fiscale (commercialisti, consulenti, avvocati e così via)” una qualificazione latu sensu del professionista estesa anche a coloro i quali non siano iscritti in un albo professionale ma che esercitino abitualmente ed in maniera professionale l’attività di consulenza fiscale, mentre per quanto riguarda il profilo oggettivo della norma, la sentenza in commento argomenta sulla necessità di una particolare modalità della condotta per l’integrazione della circostanza speciale.

Ad avviso della Cassazione, infatti, la locuzione “elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione” attribuisce alla condotta un carattere di abitualità e ripetitività, a maggior ragione laddove si consideri che la stessa Relazione Illustrativa del D.lgs. n. 158/2015 impiega il termine “seriale” per descrivere il comportamento del consulente fiscale. In altre parole, il Collegio vincola l’operatività dell’art. 13-bis, terzo comma, alla circostanza della riproducibilità in futuro del comportamento illecito.

Da questo punto di vista, la Suprema Corte, ricorrendo ai caratteri dell’abitualità e della serialità, restringe condivisibilmente il perimetro applicativo della circostanza e, in tal modo, ne restituisce una parvenza di legittimità sotto il profilo della proporzionalità della sanzione. Tirando le fila del discorso per concludere occorre ritornare al punto di partenza ovvero il cd lecito risparmio d’imposta cui concretamente l’impresa focalizza la sua attenzione. Come detto il professionista, consulente fiscale, offre una consulenza volta proprio a massimizzare il beneficio richiesto dal proprio cliente. Il professionista si adopera attraverso la predisposizione di modelli organizzativi elaborati grazie alle proprie competenze le quali, vengono minate, allorquando minate sono le condotte che lecitamente tendono ad apportare benefici alle imprese.

Come visto, oggi, nonostante l’intervento legislativo, permangono dubbi interpretativi i quali se non preventivamente messi in conto riverberano i loro effetti sull’impresa così come sul professionista in qualità di soggetto concorrente. Sebbene l’intento del legislatore sia stato proprio quello di dare certezza al diritto, fornendo una definizione di abuso del diritto e delineando chiari confini tra abuso ed evasione con il combinato disposto degli articoli 10 bis e l’art. 1 lett. g-bis) il pericolo che una operazione da elusiva venga considerata evasiva è dietro l’angolo.

Ecco perché, come detto, ruolo importante ha rivestito e riveste la giurisprudenza nel cercare di fornire interpretazioni le più aderenti alle intenzioni del legislatore. Il professionista dal canto suo dovrà essere un bravo equilibrista intento com’è nel fornire la sua consulenza il più possibile rispondente alle esigenze imprenditoriali volte al lecito risparmio d’imposta attraverso consulenze che allo stesso tempo non configurino modelli o condotte ritenute dall’Amministrazione Finanziaria abusive.

Avv. Lorenzo Colonna, avvocato tributarista cassazionista, associato Cat Bari

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