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Regime Iva per il trasporto marittimo complesso: una soluzione ancora in alto mare?

Avv. Clino De Ieso

Iva e Dogane

Regime Iva per il trasporto marittimo complesso: una soluzione ancora in alto mare?

L’assetto del sistema Iva è coerente con il principio generale, sancito nel primo articolo della Direttiva 2006/112/CE, che prevede l’imposizione con applicazione dell’aliquota normale per ogni cessione di beni o prestazione di servizi. Come tutte le regole, anche questo principio subisce delle eccezioni declinate nella riduzione della misura dell’aliquota che, in alcuni casi, è pari a zero. In quest’ultima ipotesi, la deroga è ammessa per assicurare la detassazione dell’operazione attraverso il riconoscimento dell’esenzione che, tuttavia, altera la neutralità se, come spesso accade, rende indetraibile l’Iva assolta sugli acquisti. Un ulteriore fattore di complicazione è dato dalle cd. “prestazioni complesse” o “composite” configurabili, in linea di principio, qualora l’oggetto della fornitura non sia la singola cessione o prestazione, bensì un “pacchetto” di operazioni. Ne è un esempio, esaminato nella risoluzione in commento, l’impresa armatrice che associa al trasporto di persone altri servizi che abbiano una finalità turistica o ricreativa.

Il quesito che si pone, in casi del genere, riguarda il trattamento Iva dell’operazione complessa. La risposta è semplice (solo) in teoria. Infatti, delle due l’una. Ogni cessione o prestazione, valutata in modo autonomo, resta assoggettata alla propria disciplina Iva. Oppure, in alternativa, l’operazione è considerata unica, sebbene composta dai più cessioni e/o prestazioni, con la conseguente adozione di un solo regime Iva. Si tratta, com’è ovvio, di una teorizzazione che presuppone dei criteri predeterminati dal legislatore. Ed è qui che il prelievo dell’Iva rischia di andare in tilt, visto che né la Direttiva 2006/112/CE e, dunque, nemmeno le disposizioni nazionali di recepimento, regolano espressamente la fattispecie delle operazioni composite. Certo, per alcuni interpreti, il vuoto normativo potrebbe essere colmato da una lettura istintiva di alcune disposizioni speciali, presenti nella Direttiva, che derogano al regime Iva ordinario. Tale suggestione non merita tuttavia di essere sospinta oltre, se si vuole modellare un paradigma impositivo completo e rispettoso della neutralità, a fronte della concreta obiezione secondo la quale è preclusa l’estensione, in via analogica, alle prestazioni complesse delle regole di natura eccezionale in tema di base imponibile (Art. 12 D.P.R. 633/1972) ed agenzie di viaggio (74-ter D.P.R. 633/1972).

Per queste ragioni è lodevole l’intento dell’Agenzia delle Entrate di risolvere i tanti problemi interpretativi, nati essenzialmente dall’assenza di una disciplina positiva, esprimendo una posizione che si destreggia fra la conservazione del gettito fiscale e la ricerca di una soluzione duttile all’esigenze di semplificazione degli operatori. In questa prospettiva, l’impianto di fondo della risoluzione in commento poggia sull’assunto che, “laddove accanto alla prestazione di trasporto di persone siano incluse anche altre prestazioni” (“come quelle con finalità turistico-ricreative”), “si configura una prestazione unica generica, ex articolo 3 del citato DPR n. 633 del 1972, come tale assoggettabile a IVA con aliquota del 22 per cento.”. Del resto, precisa l’ente impositore, “le altre prestazioni” non risultano accessorie al trasporto e, dunque, non possono “beneficiare del medesimo regime [del trasporto] ai fini IVA.”. È uno schema concettuale, ripreso più volte dalla prassi amministrativa, che per ricevere una sua definitiva consacrazione deve, necessariamente, attenersi ai principi espressi dal Garante per eccellenza dell’esegesi della Direttiva, cioè, la Corte di Giustizia.

Quest’ultima, nel tempo, in supplenza del legislatore, ha fornito delle precise indicazioni che si snodano lungo la fondamentale direttrice del divieto di scomposizione o, specularmente, di aggregazione artificiosa dei diversi elementi che compongono l’operazione unica: valutata, sotto il profilo economico, cioè, valorizzando al massimo la libertà contrattuale che si esprime, in concreto, in ciò che le parti cercano di ottenere dall’accordo pattuito. In particolare, secondo la Corte di Lussemburgo, l’indagine deve svilupparsi su un doppio livello, segnatamente, sul carattere scindibile o meno delle diverse prestazioni/cessioni rese dal fornitore e, ove esse siano inscindibili, sul servizio/cessione che rappresenta il vero obiettivo del cliente senza il quale, pertanto, lo stesso non avrebbe stipulato il contratto. Passando in rassegna gli highlights più significativi della produzione dei giudici europei, non si possono dimenticare gli interventi sui servizi di locazione di carattere complesso. Così, per esempio, nella causa C-42/14 la locazione è stata considerata un’operazione distinta e separata dalle forniture di utenze.

Analogamente, nella sentenza RLRE Tellmer Property (Causa C-572/07) la locazione e i servizi di pulizia sono stati ritenuti delle prestazioni autonome e dissociabili. Viceversa, nella sentenza Field Fisher Waterhouse (causa C‑392/11) è stata ravvisata un’operazione unica nella locazione di un ufficio “chiavi in mano”, vale a dire, pronto ad entrare subito in funzione grazie alla contemporanea fornitura delle utenze obbligatoriamente rese dal locatore. Nel solco tracciato da queste tre sentenze si pone la notissima decisione Stadion Amsterdam (C-463/16), pure richiamata nella risoluzione in commento, secondo cui la combinazione visita stadio/visita museo costituisce “una prestazione unica (...) tassata” con una “sola aliquota IVA (...).”. Meno nota, ma molto preziosa, è l’ordinanza Purple Parking, causa C-117/11, con la quale la Corte ha risposto al quesito utilizzando la distinzione - frutto di una sua inventio – fra l’elemento predominante e l’operazione ad esso subordinata/marginale che, in quanto tale, viene attirata e attratta nella sfera Iva del primo. Sicché, nel caso di specie, all’operazione complessa è stato assegnato il regime Iva del servizio predominante di parcheggio (imponibile) che assorbe il servizio subordinato/marginale del trasporto (esente).

Ciò è giustificato da due concause:

  • una, è l’intensità del legame fra le due tipologie di operazioni (predominante-subordinata/marginale) che - come egregiamente evidenziato dalla dottrina – risulta “debole nel senso che l’elemento marginale, lungi dal dover essere indispensabile e dunque strettamente funzionale per l’esecuzione materiale della componente predominante, deve avere un’utilità che possa garantire alla clientela un miglior godimento del bene o servizio che si trova in una situazione di predominanza” (Così, Nicola Galleani d’Agliano, “L’enigmatico regime Iva delle operazioni complesse: possibili soluzioni interpretative”, in Corr. Trib. 10/2020, pag. 887).

-l’altra, è la modalità per identificare l’elemento predominante che segue logiche puramente commerciali e, difatti, l’interesse primario del cliente viene individuato facendo riferimento al target del consumatore “medio” che acquista il pacchetto di servizi valutati, tra l’altro, anche dal punto vista qualitativo (V. Sent. 10 marzo 2011, C‑497/09, Manfred Bog).
Quindi, ritornando al caso Purple Parking, risulta decisiva la circostanza che la maggior parte dei clienti non cerca il trasporto, ma il parcheggio che, trovandosi ad una certa distanza dall’aeroporto, pratica prezzi di mercato più vantaggiosi.

Con una doverosa precisazione in chiave sistematica: se dall’accordo contrattuale non è riscontrabile un desiderio del cliente che predomina sugli altri, perché ad esempio alcuni di essi sono posti “sullo stesso piano”, l’operazione complessa non scorporabile, essendo una mera aggregazione di diversi elementi, viene qualificata come nuova, cioè, non tipicizzata e, dunque, soggetta al regime Iva ordinario con aliquota standard (CGUE, Sent. 19 luglio 2012, C-44/11, Deutsche Bank). All’esito di questo itinerario tracciato dalla Corte di Giustizia, c’è da domandarsi se l’Agenzia delle Entrate, al pari di Edipo re, abbia risposto correttamente ai quesiti proposti per fortuna dalle imprese armatrici e non dalla Sfinge che, com’è noto, divorava chi non risolveva il suo enigma.

Una prima osservazione appare scontata. L’idea, che sembra celarsi nella risoluzione in esame, secondo cui la prestazione di trasporto complessa è sempre configurabile come una prestazione unica generica soggetta all’aliquota Iva del 22% è, a ben vedere, lontana, per non dire discordante, con gli approdi della consolidata giurisprudenza europea. In proposito, la regola che viene affermata dalla Corte di Giustizia è molto chiara: il criterio per aggregazione presuppone l’impossibilità di individuare l’operazione predominante. Ma, nei casi esaminati nella risoluzione, l’obiettivo primario del passeggero “medio” è facilmente identificabile nei servizi turistici-ricreativi i quali, dunque, costituendo l’elemento predominante, determinano il regime Iva del trasporto marittimo complesso. D’altronde, il cliente partecipa alla gita turistica per la qualità dei servizi che consistono, ad esempio, “nel servizio di pesca e nella successiva somministrazione del pescato cucinato a bordo dell'imbarcazione”.

Diverso sarebbe il trattamento Iva per l’ipotesi, non affrontata nella risoluzione, dell’impresa armatrice che, accanto al trasporto di linea urbano o extraurbano, somministra alimenti e bevande (acqua, caffè, panini) senza che, tuttavia, all’interno della imbarcazione vi siano luoghi specificamente dedicati al consumo. Tale prestazione complessa, in ossequio all’insegnamento della Corte di Giustizia, dovrebbe essere assoggettata al regime Iva del servizio di trasporto che predomina sulla vendita di alimenti e bevande la quale riveste, atteso il suo livello qualitativo minimo ed essenziale, carattere puramente secondario e marginale. In questa ricostruzione – ed è la seconda osservazione - non incide affatto il concetto di accessorietà (ex art. 12 D.P.R. 633/1972 e art. 78 della Direttiva 2006/1127CE) il cui perimetro rimane circoscritto alle modalità di calcolo della base imponibile e, in particolare, a peculiari fattispecie “satellite” (ad esempio, trasporto, posa in opera, imballaggio) collocate all’esterno “dell’operazione “principale” per tale intendendosi l’operazione singola (cessione o servizio) o complessa (mix di cessioni e/o servizi). Tant’è che la Corte di Giustizia, anziché utilizzare in via analogica il vincolo di accessorietà, ha preferito creare una disciplina autonoma per le prestazioni complesse, una sorta di abito su misura, in forza della quale per l’unicità dell’operazione è sufficiente un nesso “debole” che si traduce, sostanzialmente, nella generica utilità (recte: migliore fruizione) della prestazione subordinata in favore di quella predominante.

A scanso di equivoci terminologici, tutt’altro che rari, il legame “forte” (principale/accessorio) previsto dall’art. 78 della Direttiva, che l’Agenzia delle Entrate continua imperterrita ad enfatizzare, non è uguale al nesso “debole” (predominante/secondario o subordinato) di derivazione giurisprudenziale. Più chiaramente, le due tipologie di relazioni, che hanno un ambito applicativo evidentemente diverso, non si sovrappongono l’una all’altra e, pertanto, coesistono nel sistema Iva. Nel senso che l’operazione complessa, formata dal link “debole” fra i differenti elementi (predominante e subordinato), può attrarre nella sua orbita Iva le prestazioni accessorie ad essa esterne ma legate da un nesso “forte”. Non deve, quindi, rimanere inascoltato il monito della richiamata dottrina ad un perfetto riallineamento della prassi amministrativa alle indicazioni della Corte di Giustizia in materia di operazioni complesse: tutto ciò, non solo per evitare l’apertura di fastidiose procedure d’infrazione, ma soprattutto per garantire alle imprese italiane un’equa concorrenza con gli altri operatori dell’Unione europea.

Avv. Clino De Ieso Avvocato Tributarista cassazionista, Partner Studio Legale Tributario Centore

12.03.2021

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