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Recenti arresti giurisprudenziali in tema di esecuzione delle sentenze tributarie

Dott. Matteo Busico

Giurisprudenza Corte di Cassazione​

*1. – Premessa * Dall’analisi delle recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di esecuzione delle sentenze tributarie è emersa la conferma di un orientamento ormai consolidata a proposito dell’immediata efficacia esecutiva delle decisioni dei giudici tributari, ma anche, sorprendentemente, un contrasto all’interno della Suprema Corte a proposito del giudizio di ottemperanza.

2. – L’immediata esecutività delle sentenze tributarie Nell’ordinanza n. 7334 del 16 marzo 2021, la Cassazione ha affrontato il caso dell’iscrizione a ruolo straordinaria basata su avvisi di accertamento annullati con sentenza non passata in giudicato; è noto che l’iscrizione a ruolo straordinaria rappresenta una misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, prevista in caso di fondato pericolo per la riscossione (art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973) e comporta la riscossione a titolo provvisorio dell’intero importo delle imposte, interessi e sanzioni, risultante dall’avviso di accertamento, anche se non definitivo (art. 15-bis del D.P.R. n. 602/1973); la legittimità di tale misura cautelare pro fisco è strettamente dipendente da quella dell’atto impositivo presupposto, che costituisce il suo titolo fondante, pertanto, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, ancorché non passata in giudicato, che annulla tale atto, l’ente impositore ha l’obbligo di agire in conformità alla statuizione giudiziale. In ragione delle considerazioni appena espresse, la Cassazione ha ritenuto ineccepibile la decisione dei giudici di merito che avevano affermato l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo straordinaria basata su avvisi di accertamento annullati con sentenza, pur se non ancora definitiva, della commissione tributaria.
La pronuncia appena richiamata nei suoi tratti essenziali rappresenta una conferma della giurisprudenza della Cassazione, che a Sezioni Unite aveva già da tempo sposato la tesi dell’immediata esecutività delle sentenze delle commissioni tributarie (Cass., SS.UU., 13 gennaio 2017, n. 758, sempre a proposito dell’iscrizione a ruolo straordinaria), principio più recentemente ribadito con riguardo al provvedimento di sospensione del rimborso di cui all’art. 23 del D.Lgs. n. 472/1997, la cui efficacia è destinata a cessare in presenza di una sentenza, anche se non definitiva, che abbia annullato l’atto in base al quale sia stato disposto il fermo amministrativo (Cass., SS.UU., 31 gennaio 2020, n. 2320). A tal proposito, giova rimarcare che il carattere esecutivo delle sentenze tributarie, vale a dire la loro immediata efficacia, ancor prima dell’acquisita stabilità derivante dal passaggio in giudicato, è stato codificato con l’introduzione, ad opera della mini riforma del processo tributario del 2015 (D.Lgs n. 156/2015), dell’art. 67-bis del D.Lgs. n. 546/1992, rubricato esecuzione provvisoria, ai sensi del quale le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo; tuttavia, si tratta di un principio immanente nel sistema processuale tributario già antecedentemente all’intervento legislativo del 2015 appenda detto e non pochi sono i dati normativi che confermano tale tesi; in particolare, nella disciplina generale in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie è previsto che le decisioni delle commissioni tributarie sono immediatamente esecutive (art. 18, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997) e a tale disposizione è stata attribuita una portata generale, non potendosi ipotizzare una differente efficacia delle sentenze tributarie a seconda che la controversia riguardi il tributo o la sanzione, che risulterebbe ancor meno ragionevole nella frequente ipotesi in cui la materia del contendere attenga sia all’accertamento del tributo sia all’irrogazione delle sanzioni.
3. – L’ottemperanza delle sentenze di annullamento di atti impositivi L’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 regola la riscossione frazionata, o “gradata” del tributo e degli interessi relativi in pendenza del giudizio; trattasi di una disciplina di carattere sostanziale, impropriamente collocata nel corpus normativo del processo tributario; in particolare, il primo comma dell’articolo in questione regola la riscossione frazionata del tributo con riguardo alle fasi processuali successive alla sentenza di primo grado, mentre il quantum dovuto in pendenza del giudizio di primo grado è fissato dalle singole leggi d’imposta. Il successivo secondo comma dell’art. 68 medesimo prevede al suo primo periodo che, in caso di accoglimento del ricorso del contribuente, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale debba essere rimborsato entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza; trattasi di un obbligo di restituzione che costituisce un effetto legale della sentenza, che pertanto opera a prescindere da una espressa statuizione del giudice in proposito.

La disposizione appena citata fa riferimento alle sole sentenze della commissione tributaria provinciale, tuttavia è opinione diffusa che la previsione valga, a maggior ragione, anche per le sentenze della commissione tributaria regionale, in quanto risulterebbe davvero irragionevole attribuire una minore forza esecutiva al decisum del giudice di grado superiore (così Cass., 22 settembre 2006, n. 20526).

Il secondo periodo del comma 2 dell’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che in caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può chiedere l’ottemperanza a norma dell’art. 70. Si tratta di una previsione assolutamente felice, che riconosce al contribuente - a fronte dell’inerzia dell’ufficio ad adempiere a un preciso obbligo di legge - una tutela esecutiva effettiva e immediata per la restituzione di quanto versato in via provvisoria, colmando il vuoto di tutela della previgente normativa, in base alla quale la Cassazione a Sezioni Unite aveva addirittura stabilito che il contribuente dovesse proporre ex novo una autonoma azione di rimborso avanti agli organi della giustizia tributaria al fine di ottenere la restituzione delle eccedenze pagate in corso di giudizio (così Cass., SS.UU, 8 ottobre 2008, n. 24774).
Orbene, alla luce dell’inquadramento normativo sopraesposto, non sembrava potessero sussistere più dubbi sulla circostanza che il contribuente a fronte di una sentenza di annullamento di un atto impositivo potesse agire in ottemperanza per ottenere la restituzione di quanto versato medio tempore per effetto dell’atto impugnato; pertanto, risulta davvero sorprendente la lettura della ordinanza della Suprema Corte n. 11045 del 27 aprile 2021, nella quale si legge che “in caso di accoglimento del ricorso proposto avverso un atto reso dall’amministrazione fiscale e ritenuto dallo stesso illegittimo, il contribuente non può attivare il giudizio di ottemperanza anche in caso di mancata statuizione di condanna per le somme medio tempore versate invece, ottenuta la sentenza che ha riconosciuto l’illegittimità parziale o totale di una pretesa fiscale adempiuta per effetto delle disposizioni che prevedono il pagamento in corso di causa di parte dei carichi tributari richiesti dall’art. 68 d.lgs. n. 546/92, il contribuente deve avanzare istanza di rimborso e, all’esito dell’ulteriore inottemperanza, promuovere un’azione innanzi al giudice tributario per far dichiarare l’illegittimità del silenzio rifiuto”.

A parere della Suprema Corte sarebbe inammissibile il ricorso in ottemperanza proposto a fronte di una sentenza che si sia limitata all’annullamento dell’atto impositivo impugnato, ovvero non abbia deciso su una azione di rimborso del contribuente; in tal senso è andata anche l’ordinanza 18418 del 4 settembre 2020, secondo la quale “il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze della commissione tributaria è ammesso solo in presenza di una decisione esecutiva di carattere condannatorio con la conseguenza che è inammissibile il ricorso di ottemperanza volto ad ottenere un rimborso d’imposta, ove il giudice tributario non abbia deciso in ordine ad un’istanza di rimborso, ma si sia limitato ad accertare l’illegittimità di un avviso di rettifica in base al quale era stata richiesta al contribuente la restituzione del rimborso stesso”. In tale precedente di legittimità inoltre si legge che “nel processo tributario il giudizio di ottemperanza non è esperibile per dare attuazione alle sentenze di annullamento di un atto che, avendo effetti caducatori, sono autoesecutive”.
L’affermazione appena riportata risulta in linea generale assolutamente condivisibile: nel processo tributario le pronunce demolitorie di annullamento dell’atto impugnato rimuovono gli stessi dal mondo giuridico e ne fa venire meno gli effetti, pertanto sono autoesecutive e non abbisognano di null’altro per risultare pienamente satisfattive; tuttavia, non sempre questo effetto di annullamento assicura al ricorrente piena ed effettiva tutela, in particolare, qualora sulla base dell’atto impugnato, successivamente annullato con effetti retroattivi dalla sentenza, il contribuente abbia versato delle somme, l’ente impositore deve provvedere a rimuovere gli effetti medio tempore prodotti dall’atto annullato e l’effettiva tutela del contribuente è assicurata solo con una attività di ripristino dello status quo ante dell’ufficio, a fronte della cui inerzia deve essere riconosciuto al contribuente la possibilità di agire in ottemperanza per ottenere l’esecuzione di un obbligo direttamente derivante dalla sentenza di annullamento. In questa direzione è andata altra giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il giudice dell’ottemperanza è tenuto a rendere effettivo il comando contenuto nella decisione ottemperanda, compiendo, ove necessario, tutti gli accertamenti indispensabili a precisare o delimitare la sua portata precettiva e in applicazione di tale principio è stato precisato che “all’annullamento degli atti impositivi deve seguire la restituzione delle somme – a questo punto – indebitamente trattenute” (Cass., 12 febbraio 2020, n. 3409).

Allo stesso modo, ancor più recentemente, la Suprema Corte ha cassato una decisione del giudice dell’ottemperanza che, a fronte di una sentenza di annullamento di una iscrizione a ruolo, aveva rigettato il ricorso del contribuente ritenendo che l’ufficio impositore avesse correttamente dato esecuzione alla sentenza avendo semplicemente provveduto allo sgravio del carico iscritto a ruolo, pur non avendo rimborsato il contribuente delle somme da questi versate nelle more del giudizio (Cass., 21 aprile 2021, n. 10470).

Si registra dunque sul punto un contrasto interpretativo all’interno della giurisprudenza di legittimità che a ben vedere non ha ragione d’essere, trattandosi di una questione che alla luce dei vigenti dati normativi non sembrerebbe affatto possa dare adito a dubbi interpretativi.

Dott. Matteo Busico, Dottore di ricerca in diritto processuale tributario Università Pisa

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