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Il regime IVA delle somme dovute negli accordi transattivi

Avv. Gabriele Damascelli

Iva e Dogane

Con risposta ad interpello 401/2021 l’Agenzia delle Entrate ha fornito, da ultimo, la sua posizione in ordine all’imponibilità IVA delle somme originate da accordi transattivi, risposta preceduta da analoghi interventi del mese di marzo con gli interpelli 145/2021, 179/2021, 212/2021 e 356/2021. La posizione espressa, di fatto comune in tutte le risposte, richiamandosi anche a precedenti della Cassazione (nn. 20233/2018 e 23668/2018) per cui “la prestazione di servizi - pure in prospettiva unionale - è un'operazione soggetta a Iva anche quando la stessa si risolve in un semplice non fare o come nel nostro caso in un permettere e purché si collochi all'interno di un rapporto sinallagmatico”, “risolve” il problema dell’imponibilità sulla base dell’equazione per cui “sussiste il rapporto sinallagmatico tra l'assunzione di un obbligo di non fare (che si sostanzia nella rinuncia alle liti) e l’erogazione di un corrispettivo a fronte dell’assunzione di un tale obbligo” (risposta 401/2021) ai sensi dell’art. 3 c. 1 del DPR 633/1972 (ovvero rinuncia/transazione/indennità = servizio), escludendo a priori l’indagine per ricondurre le somme ad una eventuale e possibile funzione risarcitoria (come tale esclusa dal campo dell’imposta), dando così per scontata la natura novativa dell’accordo.

Nell’ultimo interpello l’Agenzia ha ritenuto rilevante ai fini IVA l’accordo transattivo tra il consorzio appaltatore ed il committente il quale, a fronte di una richiesta risarcitoria del primo, è pervenuto con quest’ultimo ad un componimento bonario con il riconoscimento di una somma di danaro a saldo e stralcio di ogni ulteriore richiesta in relazione a riserve di natura risarcitoria e contabile legate a maggiori oneri di progettazione, illegittimo fermo lavori (ridotta produttività), adeguamento dei prezzi di contratto e rimborso spese per analisi terre e rocce da scavo, sulla base di una clausola risolutiva espressa che subordina la rinuncia all’incasso delle somme pattuite.

Si legge che nello schema di transazione “l’interpellante si obbliga a riconoscere al Consorzio la somma di euro ..... oltre IVA al 10% se dovuta a saldo, stralcio e tacitazione di ogni e qualsiasi pretesa … in dipendenza del contratto di appalto ... il Consorzio dichiara che … non avrà null'altro a pretendere nei confronti dell'interpellante per qualsivoglia titolo, ragione o causa direttamente o indirettamente connessa in forza del contratto di appalto … e la sottoscrizione della transazione costituirà, al buon esito dell'incasso della predetta somma di euro ... oltre IVA se dovuta ampia e liberatoria quietanza da parte del Consorzio ... di non aver null'altro a pretendere … le parti convengono che tutte le rinunce sono subordinate all'effettivo incasso delle somme ... pertanto in caso di inosservanza dei suddetti termini il presente accordo dovrà intendersi risolto con pieno diritto dell'appaltatore di esigere le somme oggetto del decreto ingiuntivo opposto...”. Ed ancora, nel precedente 145/2021 si legge, “il nesso di sinallagmaticità funzionale rinvenibile dagli impegni reciprocamente assunti conferma il carattere novativo degli accordi transattivi in esame, con conseguente rilevanza, agli effetti dell'IVA, delle somme corrisposte da BETA in favore di ALFA”.

Tale approccio, sorvolando sull’applicabilità dell’art. 15 del DPR 633/72 che esclude dalla base imponibile IVA le somme dovute come risarcimento del danno subito, si discosta, in primo luogo, dalle stesse “conclusioni” raggiunte nelle precedenti risposte ad interpello n. 387/19 e 178/19, in cui si prendeva atto dei differenti effetti di una transazione dichiarativa o novativa e si richiedeva perciò la necessità di una valutazione “caso per caso” al fine di stabilire la riconduzione ad IVA dell’accordo “mediante l’analisi degli elementi sottostanti la vicenda negoziale e la specifica volontà delle parti”, evidenziando, altresì, che “l’obbligo di abbandonare o rinunciare alla lite si caratterizza quale effetto tipico o naturale dell’accordo di composizione della controversia”.

Il disallineamento più rilevante, però, in secondo luogo, lo si registra in rapporto a quella stessa “prospettiva unionale”, richiamata in sede agenziale (int. 401/2021), secondo la quale al fine di qualificare una prestazione di servizi ai fini IVA è essenziale prendere in considerazione la realtà economica dell’operazione di cui trattasi quale criterio fondamentale per l’applicazione dell’IVA (C-295/17) e verificare altresì la presenza di un “consumo” nell’accezione unionale (v. C-215/94 e 384/95).

Così nel precedente C-295/17 della Corte UE, il giudice del rinvio chiedeva alla Corte se l’importo predeterminato percepito da un operatore economico in caso di risoluzione anticipata da parte del suo cliente, o per un motivo imputabile a quest’ultimo, di un contratto di prestazione di servizi che prevedeva un periodo minimo di vincolo - importo che corrispondeva a quello che tale operatore avrebbe percepito durante il resto di detto periodo - dovesse essere considerato come la remunerazione di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso e soggetta in quanto tale ad IVA. La Corte, alla “ricerca” di un nesso diretto tra il servizio reso ed il corrispettivo ricevuto, verificava se l’importo dovuto per il mancato rispetto del periodo minimo di vincolo poteva corrispondere alla remunerazione di un servizio, concludendo positivamente nella misura in cui il versamento dovuto dal cliente consentiva al fornitore di realizzare i medesimi guadagni che avrebbe percepito a titolo di remunerazione delle prestazioni di servizi nell’ipotesi in cui il cliente non avesse risolto il suo contratto.

Argomentava poi che l’importo dovuto per il mancato rispetto del periodo minimo di vincolo costituiva il corrispettivo di una prestazione di servizi individuabile, nella misura in cui “il servizio da fornire nonché l’importo fatturato al cliente in caso di risoluzione del contratto durante il periodo minimo di vincolo sono già determinati al momento della conclusione del contratto”, così potendo ritenere che “l’importo dovuto per il mancato rispetto del periodo minimo di vincolo sia parte integrante del prezzo totale pagato per le prestazioni di servizi fornite, suddiviso in mensilità, il quale diviene immediatamente esigibile in caso di inadempimento dell’obbligo di pagamento”.

In tal modo la Corte analizzando la funzione economica del contratto/accordo mira ad individuare la qualità della somma corrisposta a titolo transattivo, argomentando che (C-295/17 punti 68 e 69) “… è irrilevante ai fini dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva IVA il fatto che tale importo costituisca, nel diritto nazionale, un diritto al risarcimento del danno di natura extracontrattuale o una penalità contrattuale, oppure che esso venga qualificato come risarcimento del danno, indennizzo o remunerazione. La valutazione se il pagamento di una remunerazione avvenga come corrispettivo di una prestazione di servizi è una questione di diritto dell’Unione, la quale deve essere risolta indipendentemente dalla valutazione operata nel diritto nazionale”.

Come correttamente riferito dall’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni in C-409/98 “…per valutare quali siano gli elementi predominanti in un determinato contratto non ci si può limitare ad una considerazione astratta o puramente formale dello stesso ma occorre individuare la funzione economica del contratto, vale a dire la funzione concreta che esso è oggettivamente chiamato a svolgere per soddisfare gli interessi delle parti. … va individuata quella che, nella tradizione giuridica di vari paesi europei, viene definita come la causa del negozio giuridico, intesa appunto quale funzione economica dello stesso, preordinata alla composizione degli interessi in gioco. … la funzione di cui parlo è la stessa per tutte le parti del negozio e condiziona anzi i contenuti di quest'ultimo. Essa, per contro, non ha nulla a che vedere con i motivi subiettivi che hanno indotto ciascuna parte a concludere il contratto e che ovviamente non risultano dal contenuto dello stesso”.

Seguendo tali direttrici, la “funzione economica” di una transazione finalizzata unicamente alla cessata materia del contendere (risposta 401/2021) e veicolata dalla corresponsione di una somma a titolo di indennità per la rinuncia del Consorzio al decreto ingiuntivo, sembra difficile poter sostenere la tesi agenziale che qualifica quella indennità ad una prestazione di servizi soggetta ad IVA.

In altro precedente la Corte UE (C-250/14) ha affermato che l’emissione da parte di una compagnia aerea di biglietti è soggetta ad IVA anche qualora tali biglietti non siano utilizzati dai passeggeri e questi ultimi non possano ottenerne il rimborso, dal momento che “la controprestazione del prezzo versato al momento dell’acquisto del biglietto è costituita dal diritto che ne deriva per il passeggero di usufruire dell’esecuzione delle obbligazioni risultanti dal contratto di trasporto, indipendentemente dal fatto che il passeggero si avvalga di tale diritto, giacché la compagnia aerea realizza la prestazione nel momento in cui pone il passeggero in condizione di usufruire delle prestazioni medesime”. La Corte ha, quindi, escluso la natura risarcitoria (indennizzo contrattuale) del prezzo del biglietto pagato per intero dal passeggero no show, in una vendita conclusa e definitiva, sulla base del fatto che “le compagnie aeree si riservano il diritto di rivendere il servizio non utilizzato ad un altro passeggero, senza essere tenute a rimborsarne il prezzo al passeggero iniziale”, con la conseguenza che “la concessione di un indennizzo sarebbe, in mancanza di un danno, priva di giustificazione”.

Ragionando in maniera analoga la Corte UE, nei precedenti C-215/94 e 384/95, ha indagato circa la qualifica di prestazione di servizi dell’indennità riconosciuta rispettivamente ad un imprenditore agricolo a fronte del suo impegno all’abbandono definitivo della produzione lattiera e ad un’impresa quale contropartita di una riduzione del 20% della sua produzione annuale di patate.

In entrambi i casi la Corte ha risolto la questione in senso negativo nella misura in cui era assente quella nozione di consumo “nell’accezione del sistema comunitario dell’IVA”, dato che nel primo caso assegnando un’indennità ai produttori agricoli a fronte della cessazione della produzione lattiera la Comunità non acquistava beni né servizi a proprio uso, ma agiva nell’interesse generale di promuovere il corretto funzionamento del mercato comunitario del latte e, nel secondo, l’imprenditore agricolo non forniva servizi ad alcun consumatore identificabile né un vantaggio che potesse considerarsi come “elemento costitutivo del costo dell’attività di una terza persona nel circuito commerciale”. In entrambi i casi la Corte UE ha rigettato le tesi dell’erario che qualificavano quali controprestazioni imponibili le indennità percepite a fronte di un obbligo della parte privata di “fare o non fare” per l’assenza di una correlazione tra “l’impegno assunto” ed il consumo, richiesto per poter rientrare nel sistema IVA.

Di consumo ci riferisce l’avvocato generale Kokott nelle conclusioni a C-295/17 in cui (punti 31 e ss.) argomenta che “I pagamenti effettuati al di fuori di un siffatto rapporto giuridico … non danno luogo ad un’operazione imponibile. Di conseguenza, non sussiste una prestazione di servizi a titolo oneroso qualora l’impresa riceva effettivamente un pagamento, ma tale denaro venga versato dal pagatore non per un beneficio consumabile (ossia non per una cessione di beni o per una prestazione di servizi), bensì per altri motivi … La stessa logica vale quando il pagamento si limiti a compensare un danno finanziario dell’impresa, come ad esempio nel caso degli interessi di mora (danno patrimoniale sotto forma di un danno da rifinanziamento per pagamento tardivo) oppure della compensazione del lucro cessante per recesso dal contratto. In tutti questi casi, è vero che avviene un pagamento in denaro, ma non per una cessione di beni o per una prestazione di servizi dell’impresa, bensì a titolo di compensazione delle conseguenze finanziarie di una mancata cessione o prestazione di servizi dell’impresa”.

L’A.G. Kokott ricorda correttamente che in C-277/05 la Corte si era occupata della qualificazione ai fini IVA di un’indennità forfetaria (caparra) versata per tener indenne l’albergatore dei danni subìti per effetto della disdetta del cliente, concludendo che detto indennizzo non costituiva il corrispettivo di una prestazione ed era escluso dalla base imponibile IVA, atteso che “il versamento di una caparra non costituisce la remunerazione percepita dall’albergatore a titolo di effettivo corrispettivo di un servizio autonomo ed individuabile fornito ad un cliente e che, dall’altro, il trattenimento di tale caparra in caso di rinuncia del cliente stesso è diretto a ristorarsi delle conseguenze derivanti dalla mancata esecuzione del contratto, né il versamento della caparra né il suo trattenimento ricadono nell’ambito di applicazione … della direttiva IVA”.

In C-277/05 la Corte osservava che (p. 21) “La conclusione del contratto e la sussistenza del rapporto giuridico tra le parti non sono subordinati, di regola, al versamento della caparra. Quest'ultima, non rappresentando un elemento costitutivo del contratto alberghiero, sembra essere solamente un elemento facoltativo rientrante nell'autonomia contrattuale delle parti” derivando l’obbligo dell’albergatore direttamente dal contratto e non già dal versamento della caparra, la quale, per tale ragione, non potrà mai qualificarsi come eventuale controprestazione di una prestazione (alberghiera) tra l’altro mai avvenuta (nel caso di disdetta del cliente).

Ed ancora la Corte argomentava (p. 30) che la caparra “… costituisce l'indizio della conclusione di un contratto, nel senso che il suo versamento implica la presunzione dell'esistenza del contratto stesso. … incita le parti a dare esecuzione al contratto, atteso che colui che l'ha versata potrà perdere la relativa somma e la controparte potrà essere, eventualmente, tenuta a restituire il doppio di quanto ricevuto in caso di inadempimento ad essa imputabile. … costituisce un risarcimento forfetario, atteso che il suo versamento dispensa le singole parti dalla prova del quantum del danno subito in caso di inadempimento della controparte”.

Un’interpretazione “conforme” alle direttrici della Corte UE si registra con Cass. 18764/2014 che ha escluso da IVA le somme oggetto di accordi transattivi finalizzati alla rinuncia dei contenziosi pendenti nei casi in cui le pretese estinte per transazione sono “relative ad obbligazioni, quali quelle di contenuto risarcitorio, che non hanno per oggetto prestazioni di servizi o cessioni di beni imponibili IVA”, ricordando i precedenti della Corte UE che escludono da IVA le obbligazioni di non fare.

La Cassazione riconosce la non imponibilità della “pattuizione di un impegno negativo” per mancanza di quel consumo richiesto dalla natura dell’imposta, laddove in relazione al dettato dell’art. 3 del DPR IVA risulta assente quella “prestazione verso corrispettivo” derivante (dipendente) direttamente da un obbligo di fare, non fare e permettere.

Avv. Gabriele Damascelli, avvocato tributarista cassazionista, responsabile sede Bari Scuola Uncat

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