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Fatto generatore e esigibilità dell’IVA: contrasto sull’asimmetria temporale solo apparente?

Prof. Nicola Galleani d’Agliano

Iva e Dogane

La sentenza n. 9064 del 2021 della Sezione tributaria della Corte di Cassazione tocca il cuore del problema della esigibilità dell’IVA. La decisione si rivela utilissima per avviare una ricostruzione sistematica della materia, non ancora adeguatamente approfondita, indispensabile per dissipare l’equivoco circa la potenziale discordanza della normativa italiana rispetto alle disposizioni della direttiva n. 2006/112/CE (IVA comunitaria). In particolare, la decisione della Suprema Corte illustra compiutamente l’orientamento e la posizione prevalenti delle Sezioni Unite; posizione certo pregevole, soprattutto per la ricerca degli elementi distintivi fra il fatto generatore e l’esigibilità dell’imposta che, grazie a una lettura del dato nazionale conforme alla direttiva, assegnano il crisma di legittimità ai criteri oggettivi, individuati dal legislatore italiano, significativamente rappresentativi del momento dell’effettuazione delle operazioni.

La sentenza della Cassazione n. 9064 del 2021, che tocca il cuore del problema della esigibilità dell’IVA, è utilissima per avviare una ricostruzione sistematica della materia, non ancora adeguatamente approfondita, indispensabile per dissipare l’equivoco, circa la potenziale discordanza della normativa italiana rispetto alle disposizioni della direttiva 2006/112/CE (IVA comunitaria). Secondo questa impostazione, l’errore del legislatore nazionale consisterebbe nell’aver posticipato, con riferimento alle prestazioni di servizi, l’insorgenza del fatto generatore e dell’esigibilità dell’imposta all’evento del pagamento del corrispettivo, anziché all’esecuzione del servizio come, invece, stabilito dalla direttiva. Si tratta di una soluzione interpretativa, che rinuncia a decifrare il pensiero delle Sezioni Unite attualmente dominante nelle pronunce della Sezione Tributaria della Cassazione. Eppure, per svelare l’esatta portata delle decisioni della Suprema Corte è sufficiente una precisazione terminologica. La Corte, per “imponibilità”, intende il fatto generatore, mentre quando la stessa utilizza l’espressione “effettuazione delle operazioni” si riferisce soltanto all’esigibilità.

I precedenti Attraverso questi codici di accesso, diventa agevole ripercorrere il ragionamento ineccepibile delle Sezioni Unite sviluppato nella famosa sentenza n. 8059/2016. L’oggetto del contendere riguarda il recupero dell’IVA applicata sul compenso professionale, pagato nel 2002, per l’attività di architetto chiusa, però, cinque anni prima. Ci si trova, dunque, di fronte ad operazioni che, sebbene compiute da un soggetto passivo che in quel momento ha agito in quanto tale, non sono più assoggettabili ad imposta - per effetto dello spostamento in avanti della esigibilità al pagamento del corrispettivo - in mancanza della qualifica soggettiva che, nel frattempo, è venuta meno a causa della chiusura dell’attività e, dunque, della cancellazione della partita IVA. Le Sezioni Unite, pur dichiarando inammissibile il ricorso in cassazione, hanno comunque risolto la questione stabilendo, in particolare, che il compenso professionale deve essere assoggettato al tributo in quanto l’imponibilità del servizio va agganciata alla “genesi dell’obbligazione tributaria”, vale a dire, al fatto generatore che, nella prospettiva della direttiva, è un concetto ben distinto dalla “esigibilità dell’imposta, intesa quale attualità della pretesa dell’Erario alla relativa riscossione”. Dunque, le Sezioni Unite, in ragione di un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione, hanno “salvato” l’art. 6 comma 3 del D.P.R. n. 633/1972 (secondo cui “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”) ritenendo che la finzione giuridica, che identifica il servizio con il pagamento del corrispettivo, investe la sola esigibilità dell’imposta e non anche il fatto generatore. Più chiaramente, l’art. 6, comma 3 cit. è compatibile con la direttiva perché tale disposizione regola esclusivamente il momento temporale in cui si manifesta l’esigibilità dell’imposta la quale, se il legislatore si avvale delle deroghe di cui all’art. 66 della direttiva, può non coincidere con il fatto generatore le cui condizioni sono, invece, inderogabili dalla disciplina interna.

La decisione in commento Lungo tale direttrice si colloca la richiamata decisione n. 9064 del 2021. La vicenda giudiziaria è promossa da una società che, nel 2005, ha omesso la fatturazione di servizi imponibili resi, ma non pagati dal cliente. Sicché, secondo la difesa del fornitore, il recupero IVA sarebbe illegittimo in quanto è il pagamento del corrispettivo che fa sorgere, oltre all’esigibilità, anche il fatto generatore. Tesi, però, disattesa dai Supremi Giudici la cui idea è ancorata alla tradizionale dicotomia fra, da un lato, il fatto generatore che “comporta l'obbligo di fatturazione […]” e “in caso di prestazione di servizi è costituito dalla materiale esecuzione della prestazione (…)”. E dall’altro, il momento di esigibilità dell'imposta […] identifica[to] esclusivamente” con “il pagamento del corrispettivo”. Seguendo questa impostazione, la stessa Cassazione attribuisce natura concorsuale, dunque non prededucibile, per il credito del professionista che trae origine dalle operazioni eseguite prima dell’avvio delle procedure fallimentari, ma che si sono manifestate successivamente in dipendenza della esigibilità, per così dire, differita (Cfr., Cass., Sent. 1034/2017. Per approfondimenti, si v. Agenzia delle Entrate, risposta a interpello 8 marzo 2021, n. 163).

Nozione di fatto generatore Giova, a questo punto, approfondire la nozione di fatto generatore. E’ ineludibile partire dalle illuminanti parole di Antonio Berliri, il quale ha magistralmente osservato che “l’elemento maggiormente caratterizzante di un’imposta è il suo presupposto di fatto, il fatto giuridico, cioè, al cui verificarsi la legge ricollega, direttamente o indirettamente, la nascita dell’obbligazione tributaria. Esso, infatti, oltre a produrre il ricordato effetto, individua” - di regola - “i soggetti passivi, gli eventuali sostituti e responsabili d’imposta e qualifica il tributo in rapporto al suo oggetto”. Alla luce di questo autorevole insegnamento, si potrebbe intendere per fatto generatore sia l’elemento costituivo della fattispecie sia il momento temporale nel quale la medesima fattispecie viene ad esistenza. In sostanza, è l’interazione fra le due componenti che determinano, nello stesso istante, la rilevanza della fattispecie ai fini IVA. Cessione di beni materiali Si pensi, per esempio, alle cessioni di beni materiali contraddistinte dal trasferimento del diritto di disporre del bene come proprietario (ex articoli 2 e 14 della direttiva). E’ evidente che, nel momento in cui si verifica il trasferimento del potere dispositivo, la fattispecie si qualifica sotto entrambi i profili, ossia, oggettivo e temporale. Questo modello teorico, seppur chiaro e comprensibile in astratto, non è facilmente concretizzabile nella pratica. Le problematiche, com’è agevole intuire, riguardano le difficoltà nel riuscire a identificare con sufficiente precisione (quanto meno in maniera oggettiva) e, quindi, con ragionevole certezza, quando il diritto di disposizione viene trasferito dal fornitore al cliente. Si tratta di difficoltà ben note, come dimostra il tentativo di superarle individuando il trasferimento del diritto nell’attimo in cui il rischio della distruzione accidentale del bene passa in capo al cliente (cfr. conclusioni dell’Avvocato generale presentate il 25 luglio 2018 nella Causa C‑414/17, AREX CZ, punto 62, secondo cui: “Colui che dispone già «come un proprietario» del bene, sopporterà segnatamente, di norma, anche il rischio della sua accidentale distruzione. Il diritto di disporre liberamente di un bene, infatti, ad esempio di distruggerlo o di consumarlo, è una tipica espressione delle facoltà del proprietario. Il rovescio della medaglia di tale diritto è appunto anche che il titolare sopporta il rischio della distruzione accidentale del bene. Di conseguenza, si può partire dal presupposto che colui che deve sopportare il rischio della distruzione accidentale, abbia anche il potere di disporre del bene come un proprietario.”).

Prestazioni di servizi Peraltro, le incertezze aumentano in modo esponenziale per le prestazioni di servizi considerato che, in funzione della natura del servizio (materiale o immateriale), può essere più o meno semplice determinare l’istante in cui esse si considerano “rese” o “ultimate” (art. 6, commi 3 e 6, D.P.R. n. 633/1972). Emblematica, in tal senso, è la relazione di accompagnamento al progetto della VI direttiva IVA. In tale documento, viene dato atto che esistono fra gli Stati membri delle sensibili divergenze riguardo all’opportunità di far coincidere il fatto generatore e l’esigibilità. C’è chi preferisce anticipare la riscossione dell’imposta facendo coincidere il fatto generatore e l’esigibilità dell’imposta, altri prospettano la scissione temporale fra i due concetti. In questo scenario, la Commissione europea ha preferito “mantenere il principio enunciato nella seconda direttiva secondo cui il fatto generatore si verifica e l'imposta diventa esigibile nello stesso momento, pur consentendo agli Stati membri di prevedere che l'imposta diventi esigibile al momento della fatturazione o del pagamento della cessione”.

Il “compromesso” interpretativo Da qui, il compromesso sotteso alla regola della perfetta simmetria fra il fatto generatore e l’esigibilità (art. 63 della direttiva n. 2006/112/CE, “Il fatto generatore dell'imposta si verifica e l'imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi”), fatta salva l’eccezionale asimmetria temporale derivante dalle deroghe (art. 66 della direttiva). Il punto delicato sta proprio qui: nella scelta del legislatore europeo di usare nell’art. 63 cit. la parola “effettuata” che, tuttavia, presenta un carattere estremamente generale e vago. Spetta, dunque, al singolo Stato completare la disciplina IVA con l’introduzione dei criteri specifici. Le strade ragionevolmente percorribili sono due. Una, meno restrittiva, che concede ai soggetti passivi un più ampio termine entro il quale assolvere l’imposta. L’altra, più limitativa, secondo cui il soggetto passivo deve adempiere agli obblighi connessi e conseguenti (emissione della fattura) in osservanza ad una tempistica rigorosa. La differenza fra i due approcci è significativa. Nella prima ipotesi, il soggetto passivo può agire con un esteso margine di manovra valutando, con maggiore elasticità, il momento in cui l’operazione si considera effettuata. Si giustifica, in tal caso, un trattamento sanzionatorio più mite in quanto i criteri per la determinazione dell’esigibilità risultano più labili, evanescenti, ossia, meno certi. La seconda ipotesi, che è esattamente quella scelta dal legislatore italiano, presuppone che lo Stato condizioni l’esigibilità ad una circostanza che sia inequivocabilmente identificabile (come, ad esempio, la spedizione o la consegna del bene ovvero il pagamento del servizio): così da non lasciare spazio a nessun dubbio e, pertanto, porre il soggetto passivo nella situazione di poter operare con ragionevole certezza quanto all’assolvimento di un obbligo che, se infranto, prevede delle sanzioni di natura sostanziale e, quindi, particolarmente severe in quanto parametrate al valore del tributo. Ciò porta alla considerazione conclusiva che la posizione delle Sezioni Unite è pregevole, soprattutto per la ricerca degli elementi distintivi fra il fatto generatore e l’esigibilità dell’imposta che, grazie ad una lettura del dato nazionale conforme alla direttiva, assegnano il crisma di legittimità ai criteri oggettivi, individuati dal legislatore italiano, significativamente rappresentativi del momento dell’effettuazione delle operazioni.

Nicola Galleani d’Agliano, Professore a contratto di Diritto Tributario avanzato Università Pavia, Commercialista, Partner Studio P. Centore & Associati

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