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Corte di cassazione 6 settembre 2022, n. 26283 - Il commento

Prof. Avv. Massimo Basilavecchia

Giurisprudenza Corte di Cassazione​

Quando il D.L. n. 146/2021, con l’art. 3-bis , ha inteso escludere per la maggior parte dei casi l’impugnazione di atti del-la riscossione conosciuti in occasione del rilascio dell’estratto di ruolo, era possibile attendersi una reazione della giurisprudenza a difesa dell’anticipazione della tutela, introdotta proprio in via pretoria, soprattutto dalla giurisprudenza di legittimità (fondamentale la discussa decisione a Sezioni Unite n. 19704/2015, confermata, nella filosofia di fondo, da Sezioni Unite n. 13913/2017 e n. 7822/2020, nelle quali all’estratto si sostituisce il pignoramento), nel contesto di un disegno sistematico teso a trasformare il regime normativo di rigido accesso al giudice tributario (l’art. 19 ne rappresenta ancora la plastica espressione) in un sistema più elastico, nel cui ambito la immediata impugnabilità di atti non catalo-gati dalla disposizione, ovvero conosciuti in modi alternativi alla notificazione, veniva consentita riconoscendo una fa-coltà di scelta al contribuente, non condizionata dalla preclusione normalmente derivante dall’omessa impugnazione. Quando il legislatore scrive disposizioni che correggono indirizzi interpretativi nomofilattici, consolidati, la reazione fi-siologica del “diritto vivente” è di difesa del proprio operato, e quindi tende a limitare, ovvero a ritenere incostituzionale, la disciplina normativa difforme (il caso dell’art. 20 Testo Unico imposta di registro rappresenta l’esempio più evidente e recente di tale atteggiamento). E che la nuova disposizione che esclude in generale, salvo casi tassativi, l’impugnazione in occasione del rilascio dell’estratto di ruolo, fosse oggetto di vigile interesse da parte della giurisprudenza, è stato confermato dalla repentina richiesta di intervento delle Sezioni Unite. Ci si sarebbe attesi da queste ultime o l’esclusione della applicabilità della norma ai giudizi in corso, ovvero, in caso contrario, la rimessione della questione alla Corte costituzionale. Anche per confermare che la scelta del 2015, quando le Sezioni Unite avevano sancito quella che, nel linguaggio corrente (erroneo), è diventata l’“impugnabilità dell’estratto di ruolo”, era valida allora e tale restava, in un contesto che ha sempre visto ribadita la possibilità di accesso al giudice al di là dei limiti stabiliti dall’art. 19. E invece la sentenza della Corte di cassazione 6 settembre 2022, n. 26283, ha sostanzialmente condiviso l’intervento legislativo, con una disamina analitica e profonda del problema che ha tentato di raccordarlo con la giurisprudenza precedente e di giustificarlo con un tessuto normativo ritenuto diverso, anche alla luce dei moniti delle decisioni della Corte costituzionale critiche sul sistema della riscossione dei tributi. Ha sicuramente influito, sulla decisione, la portata pratica della stessa: impugnare “l’estratto di ruolo” (o meglio gli atti da esso rivelati) ha comportato, come lamentato nelle varie commissioni di studio che, nel quadro della riforma del processo tributario, hanno vivamente raccomandato l’adozione di una norma restrittiva poi anticipata con la citata Legge di bilancio 2022, una proliferazione di giudizi poco sostenibile dal sistema e soprattutto particolarmente incidente sul già elevatissimo carico di lavoro della Corte di cassazione in materia tributaria. Una valutazione completa della sentenza richiederebbe uno spazio e un tempo non compatibili con un commento che ha come primo scopo quello di indicare cosa cambia per effetto della sentenza. Le osservazioni che seguono, limitate all’incidenza della decisione sul processo tributario, sono dunque frutto di una selezione su spunti che appaiono merite-voli di particolare interesse e potranno costituire oggetto di un successivo, auspicabile, dibattito critico.

Una valutazione d’insieme

La sentenza costituisce un vero e proprio saggio di bravura dell’estensore: pur restando in limiti di pagine ragionevoli, la Corte riesce a dare risposta a tutti gli interrogativi, a collegare sul piano sistematico il problema specifico con le tenden-ze evolutive della riscossione e delle forme di tutela, a salvare la norma senza dare l’impressione di abbandonare l’orientamento precedente, a indicare tutta una serie di “correttivi” che, pur nell’affermata applicabilità della norma ai giudizi in corso, evitano un pregiudizio inaccettabile del diritto di difesa. Ci troviamo allora di fronte ad una sentenza da condividere? La risposta è, dal punto di vista di chi scrive, articolata. La soluzione fornita ai quesiti specifici (retroattività? incostituzionalità?) implicati dalla devoluzione alle Sezioni Unite non persuade; che sia forzata, lo dimostra la preoccupazione del Collegio nell’individuare ampi limiti all’inammissibilità dei ricorsi pendenti e l’analisi puntigliosa con la quale, in relazione ai singoli atti della riscossione, si esclude la deminutio della tutela. Così come non convince lo sforzo di mantenere la continuità con la giurisprudenza precedente: sia pure individuando nelle novità sopravvenute le ragioni del divario, le Sezioni Unite in realtà correggono il tiro, sulla base dell’esperienza concreta di questi anni e dimostrano consapevolezza dell’impatto che l’adozione dello schema dell’impugnazione facoltativa ha avuto sull’organizzazione dei processi tributari. Sul punto si tornerà. È invece apprezzabile e convincente la parte più “teorica” della sentenza, nella quale viene recuperata e valorizzata, più che in altre occasioni, la natura impugnatoria del processo tributario, con conseguente conferma dell’inammissibilità di azioni di mero accertamento e valorizzazione del ruolo centrale dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 come catalogo - sia pure non esclusivo - delle occasioni di accesso al giudice tributario. Tornando ai quesiti specifici sottoposti alle Sezioni Unite, non convince lo schema generale di inquadramento (la pro-ponibilità dell’azione sarebbe una condizione dell’azione, da intendere in senso dinamico: essa deve sussistere anche al momento della sentenza, e in caso contrario il ricorso va dichiarato inammissibile anche se non lo era quando è stato proposto) soprattutto perché un conto è la valutazione oggettiva dell’interesse del ricorrente sulla base della situazione giuridica sostanziale e di fatto , altro è il sopravvenire di una norma che di autorità priva l’attore in giudizio di un mez-zo di tutela considerato idoneo nel momento in cui il giudizio era introdotto. Un intervento ex post in cui il legislatore di-chiara inammissibili ricorsi già correttamente presentati sulla base del diritto vivente, privandoli della prospettiva di un risultato nel merito, avrebbe meritato la verifica della Corte costituzionale.

Le conseguenze pratiche sui giudizi in corso e a regime

Il sapiente ma singolare escamotage cui ricorrono le Sezioni Unite per superare il sospetto di violazione dell’art. 24 Cost. è quello di limitare l’applicazione della nuova disposizione ad una gamma di ricorsi “cattivi”, tali considerati perché emulativi, ossia privi di reale utilità per il ricorrente (perché si impugnano atti dormienti, magari latori di crediti prescritti) e tuttavia forieri di arretrato e inefficienze sul sistema processuale tributario; ed al contrario di consentire la decisione nel merito per quei ricorsi nei quali l’impugnazione dell’estratto di ruolo fosse stata sorretta da un’esigenza concreta di rimozione di pendenze non ritualmente portate a conoscenza del destinatario. Questa suddivisione, che nella legge ap-pariva abbastanza chiaramente destinata ad operare solo per i ricorsi successivi, viene invece considerata operante an-che nei giudizi in corso, con la conseguenza che, in qualunque stato e grado, il ricorrente deve essere ammesso ad alle-gare e documentare le circostanze che sorreggono il proprio interesse ad agire (“la dimostrazione si può dare anche nei giudizi pendenti”, par. 18/1 della sentenza). Proprio perché la norma è nuova, il contribuente potrà chiedere, se non ab-bia specificato il proprio interesse, di essere rimesso in termini, così come potrà essere dimostrato anche un motivo di in-teresse sopravvenuto, rispetto alla decisione del ricorso. E potrà essere dimostrato l’interesse anche nei giudizi di legittimità, ricorrendo alla norma che eccezionalmente consente la produzione di documenti anche dopo il deposito del ricor-so (art. 372 c.p.c.), fino all’udienza di discussione o all’adunanza camerale. L’unico punto sul quale la sentenza tace - anche a causa dell’impostazione dell’ordinanza di rimessione - è se il catalo-go di presupposti che rendono ammissibile l’impugnazione sia effettivamente in grado di coprire ogni esigenza merite-vole di tutela immediata; nel par. 21 si allude alla tassatività delle ipotesi, il che avrebbe richiesto una verifica circa il carattere esaustivo della previsione legislativa (che sembra implicitamente affermato dalle Sezioni Unite). Importanti sono le precisazioni destinate a valere anche per le impugnative da promuovere in futuro. Come detto, i casi di impugnativa originata dal rilascio dell’estratto avranno carattere tassativo, per i soli atti non notificati; non si pone (par. 22) un problema di termini, appunto perché mancando la notifica manca il dies a quo (tuttavia, è da ricordare che, dal momento di conoscenza dell’estratto di ruolo, il termine di cui all’art. 21 D.Lgs. n. 546/1992 decorre); l’azione in forma di accertamento negativo, ad es. indirizzata a far dichiarare prescritto il credito dell’Amministrazione, in presenza di atti (cartelle, accertamenti esecutivi o intimazioni) notificati, è inammissibile (par. 10); l’impugnazione dell’estratto, anche se ammissibile nei casi tipizzati dalla norma, resta facoltativa (par. 22) e non sog-getta a preclusione, nel caso il destinatario degli atti opti per la tutela differita; i vuoti di tutela sono esclusi, anche perché il giudice tributario e quello civile hanno poteri cautelari non solo in fase di cognizione ma pure di esecuzione (“c’è sempre un giudice chiamato a pronunciarsi”, par. 24); la Corte di cassazione, evidentemente conscia della obiettiva rapidità del procedimento, richiama l’attenzione dei giudici sulla necessità di as-sicurare tutela cautelare immediata anche nel caso del pignoramento presso terzi attuato nella forma abbreviata dell’art. 72-bis D.P.R. n. 602/1973.

(Dis)continuità rispetto alla precedente giurisprudenza

La sentenza rileva che non vi è discontinuità, come si è detto nella parte iniziale di questo commento, con la giurispru-denza delle Sezioni Unite che dal 2015 (n. 19704) ha individuato nell’estratto di ruolo un’occasione di piena conoscen-za di atti non notificati. La restrizione imposta dalla nuova norma sarebbe però giustificata, perché, mentre nel 2015 si temeva il vuoto di tutela, là dove gli atti conosciuti con l’estratto non fossero stati impugnabili, l’evoluzione giurispru-denziale successiva, sia della stessa Corte di cassazione, sia della Corte costituzionale (in particolare, la sentenza n. 114/2018, che ha cassato alcuni dei limiti posti dall’art. 57 D.P.R. n. 602/1973 alle opposizioni all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.), escluderebbe il vuoto di tutela anche se si omette l’impugnazione occasionata dal possesso dell’estratto di ruolo. La ricostruzione del rapporto con l’indirizzo giurisprudenziale precedente non persuade; anche non volendo condivide-re l’apertura delle Sezioni Unite 2015 , e pur dubitando dell’utilità assoluta dell’impugnazione di atti magari “dormien-ti”, non può non riconoscersi alla sentenza n. 19704/2015, peraltro confermata in pieno nelle premesse e nell’impostazione logica dalla n. 7822/2020, un intento garantista importante e il riconoscimento della piena cono-scenza dell’atto impositivo come fattore che (quantomeno) può (se non deve) giustificarne l’impugnazione immediata. Oggi, da tale indirizzo, la Corte sembra discostarsi, sia pure solo in parte, riconoscendone la pericolosità degli effetti col-laterali. La continuità, in definitiva, appare relativa; i precedenti, a ben vedere, non sono affatto superati, perché non è condivi-sibile che nel 2015 la preoccupazione fosse il solo vuoto di tutela con conseguente sostituzione di una tutela solo risarci-toria a quella di annullamento dell’atto; come hanno confermato le Sezioni Unite del 2020, l’immediata impugnazione a seguito del rilascio dell’estratto di ruolo mirava a rendere possibile l’interruzione immediata di una sequenza proce-dimentale che risulta già viziata per effetto dell’omessa notifica; essa si muoveva dunque in una prospettiva di tutela più ampia e incisiva (sebbene, in qualche misura, disordinata) del contribuente ed è indubbio che oggi invece la Corte si mostra disposta a tollerare un arretramento e un’attenuazione delle tutele in funzione di un più ordinato accesso al giudice. Peraltro, come risulta dal par. 6 (e 6.1.) della sentenza, viene in effetti individuato un apparente punto debole della giu-risprudenza precedente, nella misura in cui oggi si precisa che, quando si rileva l’omessa notifica di un atto impositivo, non si denuncia un vizio proprio dell’atto, ma la carenza di una condizione di efficacia idonea a rendere illegittimi sol-tanto gli atti successivi. Questa sembra essere la spiegazione più convincente, da un punto di vista teorico, della diver-genza dalle precedenti decisioni; se per queste ultime la mancanza di notifica denotava un’illegittimità già emersa nell’ambito del procedimento tributario (questo ne giustifica la impugnabilità immediata sulla base dell’estratto presso la giurisdizione tributaria, anche dopo il pignoramento), oggi la mancata notifica dell’atto x è considerata solo nella prospettiva di fattore invalidante dell’atto successivo x1, e di regola non c’è quindi ragione di ammettere l’impugnativa prima che x1 sia notificato (dopotutto, allora, il comma 4-bis non fa che ripristinare un sistema).

Cenni finali sull’impatto sistematico della sentenza

Se dunque in principio vi era un sistema chiuso, nel quale sono immediatamente impugnabili solo gli atti del catalogo ex art. 19 (predeterminazione normativa, non preclusiva in assoluto di ampliamenti per assimilazione invece impossibili nell’ottica della asserita tassatività dell’elenco); e se negli ultimi dieci anni la giurisprudenza ha affiancato agli atti im-pugnabili sotto pena di preclusione e di inoppugnabilità una serie di fattispecie meritevoli di una tutela immediata op-zionale, facoltativa e non soggetta a preclusioni (talvolta inutile, perché la sopravvenienza dell’atto tipizzato costringe a impugnare quest’ultimo lasciando estinguere il giudizio precedente); non vi è dubbio che la sentenza n. 26283/22 obiettivamente costituisce un’inattesa apertura verso un recupero del sistema originario concepito dal legislatore. Recupero che, dell’art. 19, riprende non solo la tendenziale rigidità, ma anche la perfetta armonia con la struttura im-pugnatoria del processo, in più punti della sentenza sottolineata, rimarcando (par. 10) come i tentativi di introduzione surrettizia di azioni di accertamento negativo debbano essere considerati incompatibili con il sistema (v. in particolare par. 21 e quanto alla tutela cautelare par. 23.1) . Soltanto i prossimi interventi giurisprudenziali potranno evidenziare se le motivazioni di questa sentenza resteranno an-corate ad un caso particolare, nel quale troppo forte era l’esigenza di una riduzione della quantità di giudizi, ovvero se potranno essere viste come l’anticipazione di un processo di revisione critica della dottrina dell’impugnazione facoltativa.

Fonte: Corriere Tributario 1/23

Prof. Avv. Massimo Basilavecchia, Ordinario di diritto tributario nell’Università di Teramo, Presidente Comitato Scientifico Scuola UNCAT

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