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Confini applicativi della detraibilità dell’IVA non dovuta

Avv. Clino De Ieso

Iva e Dogane

L’attuale disciplina in materia di Iva versata, ma non dovuta, è contraddistinta dalla perfetta simmetria fra il rimborso riconosciuto al fornitore (art. 30-ter D.P.R. n. 633/1972) e la detraibilità in favore del cliente (art. 6, comma 6, D.Lgs. n. 471/1997). Questo disegno legislativo, allineato alla Direttiva 2006/112/CE come interpretata dalla Corte di Giustizia, è rimasto pressoché disatteso dalla Corte di Cassazione la quale, nella decisione n. 24289/2020, ha ristretto i confini applicativi della detraibilità dell’Iva non dovuta alle sole ipotesi di errori di aliquota.

Soluzione che, però, non appare coerente con la volontà legislativa, riflessa nel tenore letterale dell’art. 6, comma 6 citato, il quale tende ad allargare (e non, quindi, a ridurre) il raggio del recupero dell’Iva agli acquisti esenti, non imponibili e senza pagamento dell’imposta, cioè, a tutte le cessioni o prestazioni che hanno una “misura”, ivi comprese le operazioni sostanzialmente assimilabili a forme di detassazione con aliquota pari a zero.

Non solo, ma la lettura della norma interna, orientata al rispetto della giurisprudenza europea, giustifica l’estensione del recupero dell’Iva, sotto forma di rettifica, alle operazioni out of scope, cioè, geneticamente non soggette al tributo. In quest’ottica, il termine “detrazione”, utilizzato nell’art. 6, comma 6, citato, rappresenta una parola polisenso che, dunque, per le operazioni soggette ad IVA, si traduce con il diritto di detrazione sostanziale ex art. 19 del D.P.R. n. 633/1972. Mentre, relativamente alle operazioni non geneticamente soggette all’imposta, l’espressione “detrazione” va intesa come una procedura di “rettifica” analogamente all’art. 26, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972 che, nel regolare la procedura di variazione in diminuzione, stabilisce che il fornitore “ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione”.

Per di più, la posizione della Cassazione risulta disconnessa rispetto al principio di effettività che, com’è noto, impone il ripristino della neutralità in tempi rapidi. Il che non può certamente realizzarsi se, l’alternativa all’immediata detrazione dell’Iva non dovuta, è rappresentata da una sorta di rewind amministrativo/processuale – di durata pluriennale - che, a ritroso, costringe prima il cliente a richiedere la restituzione dell’imposta al fornitore e, poi, quest’ultimo, a sua volta, è tenuto a rivolgersi all’Agenzia delle Entrate per il rimborso dell’IVA restituita al cliente. Ma è una situazione che, oltre a falsare la concorrenza in danno dei soggetti che operano in Italia, si riverbera negativamente sullo Stato chiamato a sostenere le spese per i contenziosi e gli ulteriori oneri amministrativi, neanche compensati da un maggiore gettito fiscale, per i costi di gestione delle più che legittime istanze di rimborso dei fornitori.

Avv. Clino De Ieso, Avvocato Tributarista cassazionista, Partner Studio Legale Tributario Centore

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